Oggi ho voluto intervistare per voi la scrittrice Roberta De Tomi.
Roberta, nata a Mirandola nel 1981 e residente in un piccolo paese della campagna modenese, è una giovane donna normale che dice cose inusuali in un mondo abituato troppo spesso a sentire parole banali.
Appassionata di musica, danza e spettacolo, oltre che di cucina, animali e viaggi, conserva nel cassetto il desiderio di “scrivere la sceneggiatura di un musical a sfondo sociale, ma arricchito da tutte le arti.”
Laureata al DAMS di Bologna, con una tesi dal titolo “I giovani e la danza. Miti, valenze e stereotipi veicolati dal cinema contemporaneo.”, Roberta ha fatto parte della Confraternita dell’Uva, un gruppo informale di scrittori e poeti con cui ha pubblicato un’Antologia di racconti sul tema dell’infanzia difficile intitolata Il rumore degli occhi (Edizioni creativa, 2009). Alcuni Brani tratti dal suo racconto “Il rifugio del capitano Achab” sono stati rappresentati nello spettacolo “La mattanza”, andato in scena in diversi comuni della provincia di Modena e di Udine.
Nel 2012 è uscito il suo thriller Follia d’ardesia (Albus Edizioni), romanzo breve contenuto nell’antologia “Lucide ossessioni”. Roberta collabora inoltre con il sito urbanfantasy.horror.it e per Speechless (www.speechlessmagazine.com).
Ciò che più mi ha colpito dalle risposte di Roberta è stata la grande umiltà fusa con una passione per quella che è una vocazione alta, un dono completo fatto con sacrificio e caparbietà da chi scrive e che, consapevole della valenza della propria azione intellettuale, oltre ad influenzare se stesso, finisce inevitabilmente per influenzare gli spettatori che nel leggere prendono parte a qualcosa che è si irreale ma, proprio per questo, diventa profondamente vero.
L’intervista:
Cosa significa per te comunicare in un mondo dominato da informazioni spesso prive di contenuti?
Comunicare in un mondo spesso privo di contenuti significa andare controcorrente, risultando a volte interessanti, altre noiosi, più spesso scomodi o “pericolosi”. Veicolare contenuti di una certa tipologia costituisce un atto fortemente eversivo, un atto intellettuale che scava in profondità, attivando meccanismi mentali e spirituali, incisivi a livello individuale. D’altra parte, la comunicazione, che la maggior parte delle persone crede essere facile, è nei fatti complessa, spesso concepita in maniera superficiale. Con l’esperienza ho imparato che le parole usate in maniera sbagliata o comunque, non ponderate, possono essere veramente deleterie, soprattutto quando il messaggio è “scomodo”. Il discorso cambia quando i contenuti sono esigui: quasi sono incontestabili, perché non attivano processi cognitivi importanti, appiattiscono e omologano. E tutto è (o sembra) più facile.
Oggi più che mai si ha la sensazione di un grandissimo bisogno da parte dei giovani di comunicare insieme però ad una incapacità di ascoltare. Quali sono secondo te i motivi di questo fenomeno?
Il problema che si pone è molto complesso, ma cercherò di essere sintetica, partendo dal presupposto che non amo le generalizzazioni e le de contestualizzazioni dei problemi. In primo luogo, viviamo in una società narcisistica e individualista, in cui l’atto dell’ascoltare viene “superato” dalla necessità di essere ascoltati. Guardiamo la quotidianità: tante persone che sgomitano per avere un “posto al sole”, ma che non sono disposte a fermarsi per capire quello che gli altri hanno da dire. Detto questo: prima di attribuire “vizi” o “cattive attitudini” alle nuove generazioni, occorre interrogarsi sui modelli che vengono forniti loro e sulle opportunità che vengono date in termini di espressione e di comunicazione.
Recentemente hai pubblicato due libri, come sei arrivata a produrre questi tuoi lavori?
Di recente ho preso parte a due progetti editoriali: “Lucide ossessioni” un’antologia che raccoglie romanzi brevi, di genere thriller/giallo, e La luce oltre le crepe, una raccolta di poesie che si pone al centro di una raccolta fondi in favore delle aree colpite dal sisma di maggio. Per quanto riguarda la prima iniziativa, partecipo come autrice di Follia d’ardesia, una vicenda in cui una giovane donna viene trovata in stato confusionale sul ciglio di una strada “dall’anonima commessa”, Maddalena Incerti. Da questa situazione s’innesta una catena di eventi che riconduce a un passato di violenze e mascheramenti, su cui indagano Maddalena e l’amico giornalista, Valerio Scarabelli. In questo lavoro, selezionato per la pubblicazione in occasione di un concorso indetto da AlbusEdizioni, l’alta tensione s’intreccia a tematiche impegnate quali la violenza sulle donne, la disperata ricerca della definizione dell’amore e della propria identità. Il romanzo, che intreccia prosa, stile giornalistico e stile teatrale, trova nell’agnizione (tipico tema plautino) il proprio culmine. “Lucide ossessioni” comprende anche i lavori di due valide autrici campane: Valeria Francese (Pericolo delle altezze) e Claudia Barbarano (Pandora).
Quanto è difficile per un giovane emergere in questo “settore” e cosa consiglieresti ad un giovane che vuole pubblicare un libro?
Mi preme sottolineare che i progetti da me realizzati sono la tappa di un percorso che è ancora tutto in salita. L’editoria è davvero un mondo complesso, a fronte di una moltiplicazione di offerte che molto spesso tendono a creare illusioni di un successo immediato, che non tiene conto delle contingenze e delle caratteristiche del mercato editoriale italiano. Un primo consiglio che mi sento di dare a chi intende intraprendere questo percorso: partecipare a premi e concorsi letterari che costituiscono una vetrina importante, nonché un’occasione per mettersi alla prova. Per quanto riguarda l’invio di manoscritti agli editori, consiglio caldamente di non andare allo sbaraglio, ma di informarsi con scrupolo e attenzione sulle modalità di ricezione del materiale. Per quanto mi riguarda, seguo tre regole: leggere, osservare la realtà e le persone, mantenere un atteggiamento umile e aperto agli stimoli. A proposito del “diventare scrittori”: un giorno, parlando con la scrittrice Laura Pariani mi disse “Non devi avere fretta”. Soltanto alcuni anni dopo, confrontandomi con diversi addetti ai lavori e conoscendo il mondo editoriale, ho capito cosa volesse dire.
Dopo il terremoto insieme ad altre persone ti sei fatta promotrice di “La luce oltre le crepe” iniziativa dove, insieme ad oltre cinquanta poeti, avete promosso attività volte a salvare le biblioteche colpite dal terremoto. Come avete ideato questo progetto? Questa esperienza ha portato i risultati sperati?
La luce oltre le crepe è un progetto nato in collaborazione con un talentuoso poeta di Modena, Luca Gilioli, il quale mi ha lanciato l’idea di curare insieme a lui questa iniziativa benefica, all’inizio dello scorso giugno (dunque nei giorni successivi alla seconda scossa). Malgrado la situazione complessa, ho accettato, confidando nella possibilità di fare qualcosa per le aree terremotate. E questa è La luce oltre le crepe: oltre cinquanta componimenti di poeti e poetesse di tutta Italia, dal Friuli Venezia Giulia, alla Sicilia, passando per la Sardegna; stili e voci diverse, a raccontare di un evento terribile ma, al contempo, a dare un messaggio di speranza e solidarietà. Il noto scrittore Giuseppe Pederiali ha accettato con entusiasmo di dare un proprio contributo, curando la prefazione del libro, ulteriormente impreziosito dall’apporto di due artisti visivi mantovani, Stefano Bisognin e Natascia Grazioli, autori del progetto grafico della copertina. I proventi del libro saranno destinati al progetto “Biblioteche da salvare”, attivato in seno alla provincia modenese.
Quali sono i tuoi sogni per il futuro?
I miei sogni sono il futuro.
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