Negli ultimi tempi, leggendo i titoli dei quotidiani ed ascoltando le “corroboranti” notizie dei TG, mi torna spesso alla mente il contenuto di un articolo che lessi anni fa su una rivista. L’articolo parlava delle grandi “Business Schools” americane, ovvero di quegli istituti in cui giovani ed ambiziosi rampolli apprendono la difficile arte di condurre una azienda in qualità di Manager, studiando tecniche e segreti per sopravvivere e sopratutto prosperare sulla concorrenza nel difficile e spesso spietato mondo dell’economia di mercato.
All’epoca rimasi non poco sorpreso dal leggere di come, in tali istituti, gli studenti si preparassero non solo su testi riguardanti l’economia, ma che venissero sottoposti loro anche volumi come “L’Arte della Guerra” di Sun Tzu, “Il Libro dei Cinque Anelli” di Miyamoto Musashi o persino “Vom Kriege” di Clausewitz: per quale ragione a futuri imprenditori era chiesto di studiare e conoscere testi di tattica, teoria e strategia militare?
Fu solo negli anni successivi che compresi le enormi affinità che il mondo della guerra e dell’economia possiedono.
Basti solo pensare a come la competizione fra aziende ricordi quella fra nazioni: i “generali” imprenditori dettano le “strategie” al proprio “esercito” di operai, tecnici, impiegati ecc. che le eseguiranno con l’obbiettivo di soverchiare gli avversari e superarli nella gara alla maggior “competitività” che spesso si traduce in una sorta di continua e spasmodica “corsa agli armamenti”, dove ad ogni nuova minaccia da parte degli uni si risponde con una nuova difesa da parte di altri.
Gli sconfitti vengono quindi annientati o “annessi” dalle potenze vincitrici che ne utilizzeranno le risorse per continuare le loro “campagne”; sempre attenti a difendersi dalla strisciante minaccia dello “spionaggio industriale”, condotto in certi casi persino da “spie professioniste” dell’ambiente militare.
E così come reggimenti e brigate compongono l’esercito “convenzionale” di una nazione, il tessuto imprenditoriale ed aziendale di un paese costituisce la propria “armata economica” con cui competere sullo scenario del mercato mondiale.
Come tuttavia qualsiasi esperto militare potrà ricordare, l’elemento più importante in qualsiasi conflitto e che resta la vera chiave per la vittoria sono il morale e la motivazione di chi la combatte. Anche il più potente degli eserciti sarà destinato ad una rapida ed umiliante sconfitta se i propri soldati e guerrieri sono convinti dell’impossibilità della propria vittoria.
Mantenere alto il morale è la vera chiave per il successo sia nella sfera militare che anche in quella economica ed ultimamente, purtroppo, pare che in Italia ultimamente questo importante fattore venga ignorato dagli organi che più di tutti contribuiscono oggigiorno ad influenzare il morale e la motivazione dei “soldati-lavoratori”: i Mass Media.
Basta aprire un qualsiasi giornale e rivista o anche solo accendere brevemente la tv e sintonizzarla su un qualsiasi telegiornale o trasmissione di attualità per essere letteralmente investiti da un “bombardamento” negativo: crisi economica, disoccupazione alle stelle, suicidi di imprenditori, povertà dilagante, corruzione, ingovernabilità e chi più ne ha più ne metta.
Il quadro che ne deriva, spesso volutamente enfatizzato per ragioni di “sensazionalismo” tipiche del mondo mass-mediale, è quello desolante di una nazione oramai sull’orlo del tracollo senza alcuna speranza né per il presente né per il futuro. Accanto a questo fatalismo schiere di opinionisti gridano la necessità per l’Italia di riprendere fiducia, di impegnarsi per la ripresa ed il riottenimento di quel benessere che pare allontanarsi sempre più tra le nebbie di un avvenire incerto.
Ma come è possibile vincere questa battaglia, questa “santa guerra” se il morale dei “soldati” italiani è continuamente prostrato da questa pressante e ossessiva “propaganda depressiva” che, lungi oramai dall’essere strumento di giusta informazione, pare essere divenuto mera speculazione sensazionalistica? Come possiamo risollevare le nostre armate e tornare a combattere nella “guerra economica” se le reclute più giovani, chiamate continuamente all’azione, si sentono poi ripetere che la loro unica speranza di salvezza è la “diserzione” verso le “terre promesse” dell’estero?
Nessun generale si sognerebbe mai di poter ottenere la vittoria se prima di una importante battaglia arringasse i propri soldati gridando loro che la battaglia è già persa, che essi saranno massacrati, le loro case distrutte ed i loro cari torturati.
Sarebbe forse il momento che il mondo del giornalismo italiano comprenda la sostanziale differenza tra la libertà di informazione e quella di indurre solamente depressione.