LIBRI – “Le ferite sono una verità necessaria dell’esistenza. Non fanno necessariamente male o bene. Ci sono e basta. A volte guariscono. A volte rimangono ferite”. E’ questa la filosofia che caratterizza le opere dello scrittore americano Percival Everett, professore di Letteratura alla University of Southern California, musicista, cowboy e grande amante della musica e della pesca, insignito nel 2006 dell’ “Usa Pen literary award” per il suo romanzo “Ferito” (Nutrimenti, 2009). Un titolo non casuale, dato che la vicenda è ispirata all’efferato omicidio di un giovane gay, Matthew Shepard, realmente avvenuto nel Wyoming in cui è ambientata la storia, che prende spunto dalla cronaca, trasfigurata letterariamente, per parlare in termini di grande profondità filosofica di un tema ricorrente nella produzione narrativa di Everett: il Male e le sue possibili cause.
La banalità del male, come già sosteneva l’omonimo capolavoro della filosofa Hannah Arendt, che analizzò con sguardo acuto e impietoso le cause della violenza nazista; sembra colpire alla cieca vittime colpevoli soltanto di rappresentare agli occhi dei loro aguzzini una diversità che fa paura e che, per questo, va eliminata.
Il romanzo si apre dunque con la morte inspiegabile di un ragazzo omosessuale apparentemente sconosciuto alla maggior parte degli abitanti di Highland, cittadina sonnacchiosa del gelido West, dove s’interroga sulla tragedia il protagonista, John Hunt, cowboy di colore di mezz’età, che alleva cavalli insieme all’inseparabile Gus, che, come lui, è l’unico afroamericano della zona e con cui adotta una cucciola di coyote la cui madre è stata barbaramente uccisa, per motivi misteriosi.
La natura che fa da sfondo alla ricerca della verità da parte di John è maestosa e solitaria, un territorio di frontiera carico di suggestioni. A fare da contraltare alla violenza insensata degli uomini è dunque la bellezza del paesaggio, che incornicia i timidi tentativi del protagonista di conquistare l’amore della ruvida cowgirl Morgan ed il desiderio di accudimento che traspare dalla dolcezza con cui John e Gus si prendono cura della piccola coyote Emily e poi di David, figlio gay di un amico di John, che cerca rifugio presso di lui, in quanto si sente rifiutato dal padre, a causa del suo orientamento sessuale.
Quello di Everett è definibile quindi come un magnetico thriller esistenziale, che indaga le ragioni dell’odio in un paese controverso come gli Stati Uniti, ma è anche un’elegia dell’amore per il diverso, di una wilderness naturale che esce dai clichés dei classici romanzi western, per farsi parabola di un universo selvaggio, in cui spesso i pregiudizi hanno la meglio sull’empatia. Ma dove, nell’apertura e nell’accettazione dell’Altro, c’è forse la vera chiave di svolta per la libertà.