Comunicato stampa

Elisabetta Aldrovandi
Elisabetta Aldrovandi, referente per Modena e provincia dell’associazione L’Italia Vera, che si occupa di tutelare le vittime da ogni forma di violenza, interviene sull’omicidio di Massa Finalese:
“I casi di violenza e assassinii tra le mura domestiche sono in preoccupante aumento: nel solo 2013 sono state oltre 120 le donne uccise da mariti o ex compagni. Nel caso di Massa Finalese, non sembrava, all’apparenza, sussistere alcuna situazione di disagio familiare o di conflitto particolarmente grave, anche se l’omicidio è avvenuto al culmine di un violento litigio all’interno della coppia, ed è stato particolarmente efferato per le modalità, avendo l’omicida fracassato il cranio della vittima a suon di botte. Il litigio, peraltro, era stato percepito dai vicini di casa, pur senza comprendere la gravità della situazione.
Come associazione – prosegue Aldrovandi – viviamo quotidianamente casi di violenza in ambito familiare, e possiamo certamente affermare che difficilmente episodi di tale efferatezza avvengono all’improvviso, in assenza di qualsiasi segnale rivelatore di forte conflittualità all’interno della coppia, unita all’incapacità di risolvere le incomprensioni. Siamo da tempo assai attenti a questi tragici fenomeni, che, nonostante i tentativi di instillare la cultura del rispetto nei confronti dell’altro, soprattutto del soggetto più debole all’interno dei rapporti sentimentali e affettivi, sono in costante aumento.
Ho partecipato alla stesura di un disegno di legge sull’omicidio di genere, nel quale si cerca di dare una particolare connotazione di aggravante agli episodi di violenza perpetrati non solo in àmbito familiare, ma nei quali l’elemento della differenza di genere sessuale è spesso scatenante della violenza. È evidente che l’attuale sistema non è di per sè sufficiente né a reprimere queste condotte, né a rieducare adeguatamene il colpevole di questi delitti, nei quali l’elemento emotivo e psicologico giocano un ruolo fondamentale. È poi ovvio che i continui provvedimenti di condono delle pene, i cosiddetti svuotacarceri, che si continuano a promulgare, e che condonano cinque mesi di pena per ogni anno di condanna, oltre al ricorso a misure alternative al carcere, possono certamente fomentare animi violenti e propensi alla risoluzione dei conflitto attraverso il ricorso alla violenza.
Ricordo, infatti, che quasi tutti i delitti spesso prodromici agli omicidi in àmbito familiare (per esempio percosse, minacce, ingiurie, maltrattamenti) sono puniti con misure alternative al carcere, che nella maggior parte dei casi non inficiano minimamente la libertà personale del condannato, il quale, di fatto, non porta su di sé alcuna conseguenza per l’illiceità della condotta tenuta. Ciò comporta, poi, che le vittime rinuncino a denunciare, poiché spesso patiscono sulla propria pelle la “vendetta” del reo, che, anziché comprendere il disvalore del fatto commesso, si abbatte furiosamente contro la propria vittima. È fondamentale non solo una politica culturale di prevenzione a questi tipi di delitti, ma soprattutto reprimere in modo più severo tutti quei delitti che rappresentano l’anticamera di reati assai più gravi e, purtroppo, irreparabili.”