LIBRI – I classici sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quando s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria , mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale, scriveva Italo Calvino nel famoso saggio “Perché leggere i classici”.
La sua tesi è quanto mai applicabile al romanzo “Un uomo da marciapiede” di James Leo Herlihy (Superbeat 2013), dal quale, nel 1969, il regista John Schlesinger trasse il film omonimo con Jon Voight e Dustin Hoffmman, vincitore di tre premi Oscar.
E’ infatti un’opera tuttora molto attuale, che parla di sentimenti universali, con una schiettezza che arriva al cuore.
Il protagonista è Joe Buck (Voight), un aitante texano ventisettenne, cresciuto in una famiglia di sole donne, insicuro e solo, che decide di cercare fortuna come gigolò a New York. La sua ingenuità ed inesperienza nei rapporti umani lo trascinano presto alla deriva e, deluso dai continui raggiri di cui è vittima da parte della sua “clientela” , che non lo paga mai, si trascina per le strade della città e vive di espedienti.
Quando ormai sembra tutto perduto, incontra Rico Rizzo (Hoffman), detto “il Zozzo”, un italoamericano astuto e senza scrupoli, ma limitato nelle sue truffe dalla difficoltà a camminare. Il sodalizio tra i due emarginati dà vita ad una serie di scorribande, narrate con un ritmo incalzante, che diventano una satira feroce dell’ipocrisia della borghesia americana, perbenista di facciata, ma in realtà popolata da giovani annoiati in cerca di droghe e perversioni, da donne nevrotiche che desiderano giacere con Joe per astruse motivazioni psicoanalitiche e da omosessuali logorroici e masochisti.
Sembra, rileggendo questo classico, di rivedere certe scene grottesche de “Il Satyricon” di Fellini, che raccontava anch’esso le avventure erotiche agrodolci di una coppia di giovani avventurieri nella Roma tardoimperiale e i parallelismi con i “Ragazzi di vita” di Pasolini sono più che evidenti.
Ciò che rende unica quest’opera è la sottile malinconia che trapela dalle imprese dei due protagonisti, la loro incoscienza ed una sorta di verginità morale, che li porta a non lasciarsi mai del tutto contaminare dalle brutture che sperimentano, uniti da un autentico sentimento di amicizia fraterna. L’autore non giudica i suoi personaggi e pare provare per ciascuno di loro una profonda empatia ed anche le situazioni più scabrose sono descritte senza compiacimento.
E’ una metaforica discesa agli Inferi, attraverso la quale Joe sembra punirsi, per poi riemergerne maturato, finalmente conscio dell’importanza di uscire dal suo individualismo e dalla brama di denaro e di non essere solo un bel corpo, ma una persona.