(foto di Federico Sorgiovanni)
E’ dall’inizio di questo 2015 che non si parla d’altro e tutt’ora, ogni giorno, i telegiornali dedicano diversi minuti all’evento che sta portando milioni di spettatori, vip e capi di stato da ogni parte del globo qui, in Italia: l’Esposizione Universale in corso a Milano – Rho dal primo maggio fino al 31 ottobre. Sei mesi da dedicare al confronto e al dialogo su un tema che coinvolge ogni essere umano al mondo: il cibo e, con esso, la possibilità di sfamare il mondo.
Un tema che meriterebbe un ampio approfondimento, ma che fin dai primi progetti sull’EXPO, ha visto inevitabilmente la scena mediatica orientata verso i consueti (e purtroppo ricorrenti) scandali a cui da sempre siamo abituati: dalla corruzione sugli appalti alle possibili infiltrazioni mafiose, dalla montagna di denaro pubblico che avrebbe dovuto essere investita in maniera efficiente ai dubbi sull’ottimizzazione dell’area e degli immobili utilizzati nel periodo post-EXPO. Senza dimenticare che tutto ciò (specialmente la cementificazione incontrollata) sarebbe andato inevitabilmente a toccare la sensibilità degli ambientalisti o di quei tanti gruppi organizzati che non vedono l’ora di creare scompiglio per un po’ di notorietà come ad esempio i ragazzi dei centri sociali che hanno messo a ferro e fuoco Milano nella giornata di inaugurazione.
Insomma un evento importante, affascinante e di importanza mondiale, che dovrebbe riunire in un solo posto tutti, o quasi, i paesi del mondo per confrontarsi su nuove idee e tecnologie per portare sviluppo e progresso, ma che di certo non è partito nel migliore dei modi. Ma prima di essere pessimisti e perdersi in polemiche, se proprio vogliamo criticare qualcosa è giusto conoscerla e viverla al suo interno.
Così in un sabato di fine giugno ho deciso di prendere il treno con un amico e avviarmi verso Milano per visitare e vedere da vicino le meraviglie di cui si sente tanto parlare e che stanno riempiendo i vari social network di foto di ogni tipo. Sinceramente sull’organizzazione e sulla gestione italiana di un evento simile avrei più di un dubbio, ma la curiosità è tanta quindi meglio verificare di persona cosa l’EXPO ha da offrire.
Accoglienza
Arrivare è davvero semplice (specialmente in treno) grazie ad indicazioni sparse ovunque che pubblicizzano l’evento semplificando la vita soprattutto ai turisti stranieri. Una volta usciti dalla stazione mi sono imbattuto in un prevedibile muro di gente che, pur essendo passate da poco le 9,30 (l’EXPO apre dalle 10,00) affollava già i cancelli dell’entrata principale (una delle tre), o per meglio dire i check in del tutto identici a quelli che si trovano in un aeroporto. Il tutto in una fila stentata (molto all’italiana piuttosto che indiana) dove il furbo di turno cercava sempre di passare avanti a suon di spallate. Ma va bene, si sa, bisogna avere pazienza. E così dopo quasi tre quarti d’ora riusciamo a dare il via alla nostra lunga giornata immersi in un turbinio di diverse culture.
Padiglioni (prima parte)
Il primo impatto lo si ha con il padiglione zero, situato di fronte all’ingresso, che però decidiamo di tenerci alla fine (cosa che poi non ci riuscirà per mancanza di tempo) optando invece da subito nel dirigersi sul lungo viale affiancato dai padiglioni dei vari paesi. Il primo impatto è abbastanza spettacolare, dato che a malapena si riesce a vedere la fine della mostra che si dilunga per più di un chilometro e mezzo, ma i primi paesi (non me ne vogliano) di certo non danno proprio un’impressione di magnificenza.
Infatti sorpassiamo come prima cosa un’insipida Repubblica Ceca, che si fa ricordare unicamente per una strana scultura in stile sovietico e dalle motivazioni sconosciute, trovando poi un Bahrein con poco o nulla da offrire alla vista (e ovviamente anche al palato). Di fronte invece c’è il Nepal, con un padiglione vuoto e incompiuto a causa del terremoto che li ha costretti a tornare in patria, situato tra l’Irlanda e il Sudan, che di cibo ne propongono unicamente attraverso delle fotografie (ma almeno una Guinness no?).
Meno male che subito dopo appare il Brasile, con una fila interminabile di gente pronta a lanciarsi nell’attrazione probabilmente più divertente di tutta la fiera. Sulla rete che si sospende lungo un interminabile giardino botanico, viene specificato come sia vietato correre e saltare ma la tentazione è forte, anche se per assurdo sono i genitori ad infrangere le “regole”, più dei loro figli. Nel Belgio, dove all’entrata delle giovani fiamminghe offrono un assaggio di un tipico biscotto locale (piuttosto gustoso), c’è una piacevole e futuristica disposizione di numerose specie vegetali, alla cui fine del percorso troviamo un bar rifornito ovviamente delle varie e gustose birre belghe.

Particolare piuttosto riflessivo del padiglione coreano
Futuristico e decisamente pragmatico è invece il padiglione coreano (del Sud ovviamente) che, con un mix di antichità e nuove tecnologie, mostra le qualità e la grande diversità di cibo che potrebbe sfamare il pianeta. Piuttosto divertente è invece il padiglione moldavo che, con le sue dimensioni al limite del minimo sindacale, risulta più piccolo di quello della Perugina posto proprio al suo fianco, che certamente ha molto più da offrire.
Poco più avanti compare l’imponente padiglione della Malesia, al cui interno hanno ricreato una suggestiva ricostruzione di un microclima, nel quale non mancano gli elogi ad un prodotto tipico largamente da loro decantato: l’olio di palma (ma non era cancerogeno?). Imponenza analoga anche per la Thailandia, che però non abbiamo avuto tempo di visitare, come del resto anche la Cina, che in controtendenza alla loro tipica laboriosità, aprivano il loro padiglione con molta calma alle 13 per poi chiuderlo allo stesso modo prima degli altri per le 19.
In tutto questo di cibo vero non se ne vede e non è da meno l’Argentina, che ti fa percorrere una rampa interminabile (più di quella del Bernabeu) per poi farti trovare davanti niente di più di una piccola mostra sulla storia dei migranti, che caratterizza fin dalla nascita il paese sud americano. Subito di fianco è situato invece un grande blocco che, tra frutta, legumi e spezie, prende le rappresentanze di numerosi paesi africani.
Stesso discorso per gli altri tre grandi raggruppamenti posti di fronte, che sono invece dedicati al riso, nella quale la fanno da padrone i paesi del sud est asiatico, al cacao e al caffe, con una netta maggioranza del centro America e di alcuni stati africani. Si differenziano in maniera curiosa Cuba e il Burundi: i primi perché in una saletta hanno ricavato un bar-disco con ampie scorte già preparate di mojito sui banconi, mentre i secondi, tra tutti i grandi produttori ed espositori di caffè, sono stati gli unici ad avere la buona idea (anche se io lo avrei dato per scontato) di proporre il proprio caffè con una classica macchinetta posta nel loro salone.
Superato il Kazakistan, che saltiamo per mancanza di tempo ma soprattutto spaventati dalla fila chilometrica davanti al suo ingresso, ci avviciniamo sempre di più al padiglione Italia, ma prima di ciò ci imbattiamo in una ricca varietà di paesi, quasi tutti europei. Tra questi c’è la Polonia, che ci immerge in una fitta vegetazione poco sapientemente accerchiata da specchi, che alimenta ancora di più il caldo torrido in un effetto forno decisamente poco piacevole. Finalmente tornati al riparo, ci viene mostrata su una TV
enorme la sua millenaria storia, prima di farci dirigere in un negozio di cibarie e souvenir dove la vodka la fa da padrone. Spettacolare è anche la complessa e curiosa costruzione del Regno Unito, riprodotta imitando un alveare per sensibilizzare l’opinione pubblica sul ruolo di primo piano che le api ricoprono nei nostri ecosistemi. Per arrivarci, però, bisogna prima superare una fitta trincea che ci ha fatto immedesimare molto nel centenario dell’entrata dell’Italia nella grande guerra.
Stessa suggestiva vegetazione nel padiglione francese dove, per arrivarci, bisogna superare un lungo percorso affiancato da tante differenti colture, ognuna delle quali descritte in maniera molto accurata in tutte le sue fasi di sviluppo, mentre i Paesi Bassi hanno optato per una sorta di padiglione itinerante, composto da un dj set e diversi “paninari”, dislocati coi loro furgoncini lungo il percorso. Ma per lo meno qui si mangia, e l’aggiunta di un po’ di buona musica infatti contribuisce a rendere l’area piuttosto affollata.
Ed eccoci finalmente arrivati al lungo viale dedicato alla nostra Italia, che in fatto di cibo, per qualità e varietà, non ha nulla da invidiare al resto del mondo. Non prima, però, di soffermarci qualche secondo sul padiglione (più che altro una piccolissima mostra) della Santa Sede, del quale sinceramente non capiamo il nesso riguardo al tema in questione.
Italia
Voltando lo sguardo a sinistra già si scorge l’albero della vita, la spettacolare struttura simbolo dell’evento che domina un laghetto artificiale, arricchito da fontane e giochi d’acqua. Decidiamo subito di prendere quella direzione, dato che sulla destra ci sono solo locali dedicati a sponsor ovviamente di carattere alimentare ma che ci allettano poco.
Già dai primi passi noto però che la disposizione non è proprio come me la sarei aspettata e mi tocca constatare che, nonostante la grande varietà culturale e culinaria di cui l’Italia disponga grazie ad ognuna delle sue regioni, gli unici locali adibiti a tale scopo sono quelli di pochissime regioni, come la Calabria e la Sicilia, o addirittura di zone provinciali o città, come ad esempio l’Alto Adige (dove come al solito si sforzano a parlare l’italiano), l’Irpinia e Piacenza, con una Ferrari esposta che non trova un gran nesso.
Per fortuna c’è spazio anche per alcune aree (non a caso le più affollate) come quella dedicata ai vini, nei quali l’Italia eccelle per varietà e qualità, ma anche ai salumi e a tutto ciò che di gustoso gli può essere accompagnato. Tutto ciò per arrivare finalmente all’imponente albero della vita, che ogni ora offre al pubblico spettacoli giochi d’acqua sulle note di diverse canzoni.
Di fianco si trova invece Palazzo Italia, il vero e proprio padiglione rappresentativo del nostro paese, situato all’interno di un complesso futuristico nel quale ci siamo addentrati ma senza riuscire a visitarlo a pieno, a causa di un interminabile fila che ci ha costretti, a malincuore, nel desistere dall’impresa, cercando di sfruttare le ultime ore nel tentativo di addentrarci per lo meno in un’altra decina di paesi.
Padiglioni (ultima parte)
Proseguiamo quindi nella nostra ultima parte dove la prima cosa che si nota guardandosi intorno è la maggior abbondanza vegetativa dei paesi che ci stiamo avviando a visitare. Ci troviamo infatti nel nord Europa e, tra questi, c’è la Svizzera che percorriamo senza però addentrarci quando scopriamo che una delle loro attrazioni è a pagamento. Ci immergiamo allora nella verde Germania che, sempre in assenza di cibo, fa sfoggio nel suo percorso della grande varietà territoriale ricca di risorse di cui dispone. Ancora più immersa nella natura è l’Austria, che non a caso risulta uno dei padiglioni più belli e per questo affollati che ci costringe a proseguire il cammino sulla Slovenia che, oltre a un po’ di sale, tra le altre (poche) cose che vanta al proprio interno c’è il dato sull’estensione boschiva (che ricopre il 60% del territorio) e la paternità della fabbricazione di una marmitta ufficiale di una Ducati (si ma il cibo?).
Subito dopo ecco l’Iran, che ci omaggia con un balletto folcloristico prima di entrare nel loro padiglione, dove il nome del paese svetta coi propri colori tipici, prendendo forse ispirazione da qualche noto supermercato. Essendo uno spazio aperto e ricco di una grande varietà di piante, ci fornisce quei pochi minuti di refrigerio prima di tornare a buttarci sotto gli oltre 30 gradi all’ombra. Una mia personale grande delusione è sta quella nei confronti del padiglione degli USA.
Non che avessi speranze di trovare negli Stati Uniti esempi di una buona alimentazione, ma constatare che un paese così grande si sia limitato quasi solo a proporre un percorso con sette video abbastanza vaghi sul ruolo del cibo sano (?) e sulle ricorrenze, come il giorno del Ringraziamento, mi ha fatto scendere ulteriormente la stima che avevo nei confronti della loro varietà alimentare. Per lo meno la Turchia, nel loro padiglione all’aria aperta, oltre a diversi souvenir proponevano nel loro angolo bar alcune specialità tra cui il famoso caffè turco.
Tralasciando il Principato di Monaco, ci tocca a malincuore rinunciare pure al Giappone che, con la loro famosa precisione, hanno per lo meno dato un conteggio approssimativo all’attesa che la loro coda richiedeva per l’ingresso al padiglione, stimata in 75 minuti! (e non sarebbe calata anche dopo un paio d’ore). Un conteggio, che può essere preso come riferimento per farsi un’idea di quanto possa essere affollata l’esposizione nel giorno in cui la si visita. Allora ci siamo consolati in una breve sosta nella Slovacchia, dove l’unica cosa che potremmo associare al cibo (purtroppo finto), è una scultura che rappresenta il classico piatto germanico con pane, wurstel e uova.
Nel finale la stanchezza comincia (anzi continua!) a farsi sentire e la lunga fila davanti al Qatar e al Turkmenistan, ci convince a desistere anche da queste due visite. Sorpassato quindi il Mc Donalds (che in quanto a cibo sano avrebbe poco da spartire), optiamo su un più rapido Oman che, nonostante il suo arido territorio, fa sfoggio delle proprie colture e delle tecniche per ottenerle, grazie anche a sapienti metodi di utilizzo e ottimizzazione delle risorse idriche.

esempio di varietà culinaria russa con alcuni piatti (purtroppo finti)
Nel finale non potevamo che visitare uno dei padiglioni più belli e ben riusciti, quello della Russia, che riesce senza tanti giri di parole, a trattare i veri temi legati al cibo, come la grande varietà di piatti tipici di cui dispone e delle nuove tecnologie da utilizzare in agricoltura, in sostituzione, dove possibile, di quelle più vecchie e dannose che utilizzano agenti chimici dannosi anche per l’uomo. Già l’esterno richiama fascino e imponenza (per ironia della sorte, sembra quasi “inglobare” il piccolo e limitrofo padiglione dell’Estonia) e appena entrati non poteva mancare una cartina, fatta col grano, che rappresenta l’immenso territorio russo, dove in bella mostra non poteva mancare anche la Crimea.
Cibo
La conclusione alla quale giungo dopo ben 28 chilometri (giuro sono quelli, l’applicazione apposita del telefono ne è testimone) è che di padiglioni belli ce ne sono e non pochi, anche se a sorpresa non sono proprio quelli su cui avrei scommesso. Ma il punto principale è che di cibo, nonostante sia il tema dell’evento, se ne vede ben poco e gli unici padiglioni che si salvano sono quelli che, almeno, offrono (si fa per dire) le proprie specialità al pubblico attraverso ristoranti tipici o, come nel caso dell’Olanda, di piccoli chioschi.
E visto che di cibo si parla mi soffermo un attimo sul pranzo che abbiamo deciso di fare nel padiglione spagnolo. Il ristornate e il bar situato di fianco sono infatti certamente più invitanti di quello che si trova all’interno (o forse era la fame a parlare) così decidiamo di sederci e gustare ciò che più rappresenta la Spagna: Paella e Sangria. Un accoppiata favolosa che ci viene servita in pochi minuti e che soddisfa il nostro palato, anche se il paragone con la vera paella mangiata in Spagna è abbastanza difficile. Meno soddisfatto è invece il nostro portafoglio che si è visto sfilare 24 euro (16 per la paella e 8 per il bicchiere di sangria).
Verso sera invece, dopo almeno un’altra decina di chilometri percorsi, salta fuori l’italiano che è in me e decido di fermarmi per uno spuntino nello stand di Eataly, che offre le migliori specialità di ogni singola regione italiana. Ma i prezzi, anche se non proibitivi, non sono certo a buon mercato così decidiamo di tornare al padiglione all’aria aperta dell’Olanda (anche se padiglione in effetti è una parola grossa). Qui in mezzo a tanta musica house-commerciale, ci sono diversi paninari e in uno di questi prendiamo un po’ delle tipiche dutch fries, con ancora gran parte della buccia attaccata che, per lo meno, ti fa capire che vengono fritte patate vere.
Eventi
Quasi tutti i giorni passano per l’EXPO capi di stato, celebrità e si susseguono numerosi eventi. Uno di questi, legato proprio al cibo italiano per eccellenza, ci ha coinvolto, facendoci compagnia per tutta la mattinata. Più di metà del chilometro e mezzo di decumano che si dilungava lungo tutta l’esposizione era . occupato infatti da un’immensa distesa di pizza che, dividendo in due la mostra e impedendoci di spostarci da una parte all’altra (se non percorrendo più di un chilometro!) era stata preparata, cotta e infine servita ai passanti per entrare nel Guinness World Record, grazie ad un’impresa senza precedenti. Per preparare infatti “la pizza più lunga del mondo” sono state usate tonnellate e tonnellate di ingredienti (rigorosamente italiani, come specificato), preparati da quasi trecento tra collaboratori e cuochi per un totale di 30-35.000 tranci di pizza.
Curiosità nel caso non siate abbastanza convinti a partecipare all’evento, sappiate che all’EXPO succede anche questo