Ancora una volta veniamo a conoscenza dai media nazionali di un caso in cui, un adolescente, probabilmente vittima di bullismo, ha tentato il suicidio. E’ il caso avvenuto alcuni giorni fa a Pordenone dove una ragazzina di appena 12 anni si è lanciata dal secondo piano delle propria abitazione ed ora si trova in ospedale con diversi traumi ma, fortunatamente, fuori pericolo.
In altre occasioni purtroppo le cose andarono diversamente, basti ricordare la vicenda di Amanda Todd che nell’ottobre del 2012 si tolse la vita a 15 anni dopo che per mesi fu vittima di bullismo sui social network e a scuola, non prima però di postare un videomessaggio in cui esprimeva tutto il suo dolore. Oppure il caso di Carolina Picchio, di 14 anni, che, nella notte tra il 4 e il 5 gennaio del 2013, si lanciò dalla finestra della propria abitazione a causa di un video che girava su YouTube. E ancora il caso di Aleandro Rudilosso, il ragazzo siciliano che nel settembre del 2015 si impiccò, stando ai media, a causa del fatto che la sua omosessualità non fosse mai stata accettata dal padre. Sul proprio profilo facebook, alcuni giorni prima del gesto estremo, Rudilosso pubblicava una citazione tratta dal romanzo “Bag of Bones” (1998) di Stephen King: “Sono come un claustrofobico su un sottomarino che affonda. Ecco come va, grazie per averlo chiesto. Ma non lo dissi mai. Io non chiedo aiuto.” Aveva 16 anni.
Amanda, Carolina, Aleandro, sono nomi che probabilmente dimenticheremo presto. Eppure ogni giorno, in ogni regione italiana, decine e forse centinaia di ragazzi e ragazze sono vittime di bullismo e queste, aimé, sono le conseguenze più evidenti.
Di fronte alla gravità di fatti del genere abbiamo voluto chiedere il parere di una persona esperta su questi fenomeni: la criminologa Roberta Bruzzone che, assieme all’attività forense, si occupa da anni di educazione e prevenzione all’interno delle scuole proprio in un ottica di contrasto del bullismo e della sua più moderna evoluzione chiamata appunto cyberbullismo.
L’intervista
Pensando a recente caso di Pordenone, in che modo si potrebbero prevenire fatti del genere e quanto incidono la rete e i social network rispetto a questi fenomeni?
“Oggi dobbiamo confrontarci con una dimensione rispetto a questi episodi che è ben più ampia e grave rispetto a quella che siamo abituati a conoscere e riconoscere. Oggi l’atto di bullismo e le sevizie, parlare di bullismo a volte è addirittura riduttivo rispetto alla gravità di quello che viene commesso, non sono più finalizzate ‘solamente’ a danneggiare la vittima ma il vero obiettivo, spesso, è quello di videoriprendere tutto ciò che accade per poi trasmetterlo e divulgarlo attraverso pochi clic, con l’intento di ottenere un effetto amplificatore attraverso i social network.
In questo, purtroppo, la grande disponibilità dei cellulari di ultima generazione da parte di praticamente tutti i ragazzini già dalle scuole medie [mi creda – sottolinea Roberta Bruzzone – faccio moltissima attività di formazione e prevenzione nelle scuole e parlo con cognizione di causa] sono tutti dotati di smartphone con una linea dati connessa 24 ore su 24.
In questo tipo di contesto uno strumento del genere diventa un’arma letale per questi ragazzini; le vittime infatti non solo vedono l’umiliazione diretta, magari dinnanzi alla classe e ai compagni ma comunque ristretta ad un numero ridotto di persone, ma sanno già che tutto questo, in brevissimo tempo, diventerà oggetto di scherno da parte di chiunque e, una volta entrato in circolo all’interno dei social media, non ne uscirà più. Si potrà contenerne la diffusione certo, ma cancellare i contenuti messi in rete in maniera definitiva sarà pressoché impossibile.
Inoltre vi sono moltissimi casi (non solo quelli sul bullismo) riguardanti la diffusione di contenuti sessuali, ampiamente elargiti da parte dei ragazzini, che ne diventano poi vittime. Bisogna cominciare a formare i giovani sulle conseguenze di quello che fanno, conseguenze che non restano circoscritte nell’immediato ma che finiscono per non avere più una data di scadenza.”
Nella conferenza organizzata da i Lions che tenne al Teatro Comunale di Carpi il 10 febbraio scorso sostenne che un minorenne non possa invocare il diritto alla privacy quando si parla di controlli su pc e smartphone?
“Un minorenne non ce l’ha per niente il diritto alla privacy soprattutto nei confronti dei propri genitori. Se un minore dispone di un cellulare, intanto non può essere suo per definizione, perché l’acquisto non può essere di per se frutto del proprio regolare lavoro in più, sicuramente, anche ammesso e non concesso che il dispositivo sia ritenuto di sua appartenenza, di fatto la linea dati non può essere intestata a lui perché, in Italia, non si può intestare una linea ad un minore.
Per queste ragioni i genitori, che hanno il diritto e soprattutto il dovere di vigilare, non possono assolutamente essere messi fuori da quello che accade all’interno di questi dispositivi perché loro, comunque, ne sono r-e-s-p-o-n-s-a-b-i-l-i.”
Qualcuno però ritiene una “necessità” quella di dotare i propri figli di smartphone e/o apparecchi simili…
“Francamente la nostra generazione è cresciuta tranquillamente senza avere il cellulare sempre appresso e questa cosa che oggi sia un accessorio irrinunciabile ce la siamo raccontata noi, ma non è assolutamente così.
Una volta in cui il bambino o i ragazzo va a scuola, e il genitore lo consegna ad un istituto scolastico, lo affida ad una realtà riconosciuta come in grado di gestire questo minore. L’esigenza che questi ragazzini debbano circolare all’interno delle scuole dotati di questi strumenti io non riesco proprio a comprenderla se non riconducendola alla moda del momento. Certo non mi venissero a raccontare che si tratta di un’esigenza dei minori! Anzi spesso, dare determinati strumenti, può essere un modo per tenere occupato il ragazzino in modo che non disturbi il genitore nelle sue attività quotidiane.”
Anche a fronte di quest’ultimo episodio si è parlato di nuove leggi per il contrasto del bullismo, qual è il suo parere?
“Ci sono già una serie di norme previste dal nostro Codice, soprattutto quelle che riconducono al genitore la responsabilità per i guai che commessi dal figlio almeno sotto il profilo civilistico, credo che questo aspetto vada spiegato un po’ meglio ai genitori.
Nei casi in cui un ragazzino sevizi un altro ragazzino, lo videoriprenda e divulghi questo tipo di materiale sui vari social [possiamo addirittura – spiega la criminologa – ipotizzare scenari ancora più gravi dove vi sia divulgazione di materiale pedopornografico, prodotto da minori ma pur sempre di matrice pedopornografica] bisognerebbe cominciare a far pagare ai genitori di questi ragazzini, aspiranti delinquenti perché di questo poi parliamo, gli errori che commettono i loro pargoli; a questo punto vedrà che il genitore diventerà più presente nel vigilare sui comportamenti del proprio figlio.
Eventi del genere infatti accadono con una sistematicità spaventosa all’interno di famiglie così dette normali, i genitori andrebbero più sensibilizzati su comportamenti che troppo spesso non sono ritenuti tanto gravi quanto meriterebbero. In fondo il problema non ce l’ha solo il genitore della vittima ma anche il genitore del bullo.”
Cosa si sentirebbe di consigliare ad un giovane che in questo momento è vittima di atti di bullismo?
“Intanto che deve raccontare quello che gli sta accadendo, non deve assolutamente vergognarsi di quello che accade perché non è un problema suo ma in realtà, anche se è difficile comprenderlo, il problema ce l’ha chi commette questi atti. La vittima purtroppo si trova spesso in una condizione in cui, difficilmente, potrà trovare protezione senza parlarne a nessuno. E’ inoltre importante parlarne per fare in modo di evitare che gli adulti di riferimento si possano nascondere dietro l’alibi del “non sapevo” oppure “nessuno mi ha detto nulla“. Quindi a chi sta subendo questo chiedo di parlare con un adulto in modo che quanto sta accadendo emerga in tutta la sua dimensione.
Poi ci sono una serie di consigli pratici per documentare quello che accade, è infatti importante non farsi cogliere impreparati quando poi ci sarà da dimostrare la gravità di quanto accaduto. A questo punto il cellulare potrebbe diventare un buon ausilio ad esempio per registrare o videoriprendere gli abusi e le sevizie che si subiscono in modo tale che, nel momento in cui qualcuno, come spesso accade, negherà quello che ha fatto ci saranno ulteriori prove utili ad inchiodarlo. Ribadisco, è importante parlare, chiedere consigli, ma anche essere pronti in qualche modo a documentare ciò che si afferma.
Mi preme inoltre ribadire, laddove non ci siano direttamente ragazzi interessati dalla questione ma comunque testimoni, che è molto importante racconti fatti di questo tipo quando se ne viene a conoscenza perché spesso, le vittime, non riesco a far emergere il loro disagio se non in maniera tragica e drammatica come ci hanno insegnato spesso i fatti di cronaca.
Io credo sia molto importante far passar il messaggio, risultato molto utile in tanti casi che ci siamo trovati a gestire, che nel momento in cui un ragazzo o una ragazza assiste ad atti di questo genere e non fa nulla, a quel punto, è come se diventasse complice di chi li commette. In questo tipo di vicende girarsi dall’altra parte non è consentito.”