A volte per viaggiare basta poco. A volte basta avere il gusto per l’avventura e anche le strade della nostra città diventano emozionanti. A volte basta saper sognare e anche solo leggere di posti lontani sarà un po’ come esserci stati. A volte basta riscoprire con gli occhi di un altro posti che si conoscono benissimo.
La settimana scorsa siamo stati a Sestola! Qualcuno di sicuro lo aveva indovinato, ma vediamo come ve la cavate stavolta…
Con questa rubrica vi voglio sfidare e incuriosire: riuscirete a scoprire, di mese in mese, dove ho ambientato i miei racconti? La risposta vi sarà data il primo lunedì del mese prossimo!
Qualche anno fa ci sono stata in vacanza e me ne sono innamorata. Ora la vedo al telegiornale e mi chiedo se ci tornerò mai più. Ora credo avrei paura a tornarci. Ora non riuscirei a guardare con la stessa ingenua meraviglia quella varietà umana che mi era sembrata tanto incredibile; penso non riuscirei a camminare tra la gente con la stessa spensieratezza. Al tempo stesso però mi piacerebbe tornare in quella folla dai vestiti lunghi e corti, larghi e attillati, occidentali e orientali. Mi piacerebbe tornare a immergermi in quella lingua dai suoni estranei ma che non posso fare a meno di associare alla dolcezza del tè che ci offrivano. Mi piacerebbe tornare sulle isole dei Principi, con quel mare di smeraldo, e da lì vedere di nuovo la città, così grande che abbraccia tutto l’orizzonte. Le chiamano isole dei Principi perché vi venivano mandati i principi in esilio, e oggi, con i ricordi che mi scorrono in mente mentre guardo le immagini in tv, mi sento molto vicina alla nostalgia che devono aver provato loro nel vedere la città senza potervi tornare.
Di quella città enorme, caotica, antichissima e moderna mi è rimasta in particolare un’immagine. Stavamo camminando a casaccio quando le viuzze si sono aperte in una piazza con alcuni negozi, un grande prato e una moschea. La moschea era piccola ma antica e abbiamo deciso di visitarla, quindi ci siamo tolti le scarpe, noi ragazze ci siamo coperte la testa con le sciarpe, e siamo entrati. Si avvicina un uomo allarmato e inizia a dirci che dobbiamo toglierci le scarpe ma, poi, vedendo che lo abbiamo già fatto, ci sorride, grato, e ci lascia soli. Nella penombra le piastrelle colorate, i grandi lampadari circolari, il silenzio interrotto appena da qualche nostra parola sussurrata. Rimaniamo qualche minuto con il naso all’insù e la sensazione di essere in un posto speciale. Uscendo, il sole torna a colpirci, sentiamo di nuovo le voci dei bambini che giocano nel prato e, mentre ci allacciamo le scarpe, ci passano di fianco delle oche, dondolando. Per un attimo ho l’impressione di aver viaggiato nel tempo o forse di aver visitato un luogo fermo nel tempo da secoli e secoli.
Questa è l’impressione che ti lascia un po’ tutta la città: di camminare in un luogo dove non solo i popoli ma anche le epoche si confondono, ogni oggetto ha una storia che ormai solo lui conosce e gli uomini passano veloci. Lì scopri che la moschea più famosa era stata costruita per essere una chiesa; scopri che due enormi teste di medusa – prese chissà dove – sono state messe a sorreggere colonne in una cisterna bizantina; scopri che le strade a quattro corsie passano sotto gli acquedotti romani e che c’è chi guida peggio di noi italiani; scopri che il nuovo palazzo del sultano è uguale alla corte parigina o viennese ma, forse, ancora più sfarzoso; scopri che ci sono vie che vendono solo lampadine o solo vestiti da sposa; scopri che basta prendere un traghetto e dall’Europa passi all’Asia. Scopri che tutto è caos ed, eppure, tutto ha senso.
Quelle donne con la minigonna o col burqa, con gli occhi quasi neri o verdi o grigi… quegli uomini gentili e veloci, dal sorriso grande e dalla pelle chiara… Ora li vedo in televisione e hanno lo sguardo triste e rassegnato: le bombe, cosa ci vuoi fare? Un po’ come noi: ci si abitua a tutto. Un po’ come noi sono un popolo fatto di contraddizioni: di migranti e di immigrati, di eccellenze e corruzione, di memorie di un grande passato e di speranza per il futuro. Supereranno anche questa, non sarà qualche pazzo fanatico a cambiarli.
Mi piacerebbe rivedere la mia amica Seda e chiederle se la sua vita è diversa. Chiederle se ora, quando viaggia, la gente la guarda in modo strano; come se avesse un marchio addosso che ci dice da dove viene e qual è la sua religione e quali sono le sue idee anche se il suo inglese è perfetto e i suoi lunghi capelli scuri la fanno sembrare un’italiana; anche se, quando mi aveva invitato a cenare con la sua famiglia, mi aveva coccolata e rimpinzata proprio come faremmo noi. Qualsiasi cosa succeda ho una certezza: ci saranno sempre donne e uomini ospitali e chiacchieroni pronti a farti sedere e a offrirti un chay in tazzine a forma di tulipano. E’ a questa umanità che voglio credere; è di questa umanità che voglio fare parte; è per questa umanità che supererò la paura e tornerò.
Dove ci troviamo?