Che confusione e che caos questo universo nerazzurro. Un conglomerato informe di pianeti e satelliti che percorrono orbite irregolari ed indefinite, che mai si ripetono e mai si incontrano. E pensare che solo sei anni fa Zanetti alzava al cielo la coppa dalle grandi orecchie al Santiago Bernabeu, più che uno stadio un meraviglioso teatro. Solo sei anni fa si stava per concludere uno dei cicli più vincenti della storia dell’Inter e del calcio, cominciata sotto la gestione Mancini e conclusa gloriosamente tra le lacrime di Mourinho e Materazzi nella notte di Madrid. Che nostalgia, soprattutto ora che abbiamo davanti agli occhi il rapido naufragare dell’Inter odierna, società al collasso gestionale ancor più che tecnico. L’emblema del tracollo nerazzurro è lo striscione ironico, ma allo stesso tempo molto critico, sbandierato a San Siro domenica sera, striscione che nemmeno la netta vittoria sul Crotone ha messo a tacere.
“Ci sono un cinese, un inglese e un indonesiano… che vogliono farci tornare ad essere la barzelletta d’Italia”.
E pensare che in molti ci eravamo fatti trarre in inganno da quello che a mio avviso è stato il meraviglioso mercato estivo dell’Inter, un mercato che doveva trasformare l’Inter in una credibile contender della Juventus. I 120 milioni spesi in estate dovevano colmare quel gap tecnico e gestionale che la Juventus ha creato negli anni con una gestione lungimirante del patrimonio bianconero. Dopo settimane di ritiro e a venti giorni dall’inizio del campionato è arrivata la doccia fredda. Risoluzione consensuale del contratto tra Mancini e l’Inter. E ora? Ora bisogna trovare velocemente un nuovo tecnico, in modo che possa lavorare con la squadra almeno nei pochi giorni di preparazione che mancano. Ma nella scelta del nuovo allenatore si annida il primo passo falso della dirigenza, o verrebbe da dire dirigenze, dell’Inter, che poi ha provocato una reazione a catena di ulteriori fatali errori. A venti giorni dall’inizio della Serie A, il campionato che più di ogni altro in Europa si basa sulla preparazione precampionato e sulla trasmissione di precetti tattici, l’Inter ha affidato un team appena rinforzato con 120 tintinnanti milioni di euro ad un allenatore straniero, senza conoscenza della lingua, senza conoscenza del campionato italiano, reduce dalla traumatica sconfitta all’ultima giornata nel campionato olandese col suo Ajax che gli ha fatto scivolare dalle mani quello che sarebbe stato il suo quarto scudetto consecutivo. Poi per carità, De Boer è un bravissimo tecnico, lo ha dimostrato nelle passate stagioni all’Ajax, ma nel momento che attraversava l’Inter non aveva la caratteristiche necessarie per potersi sedere sulla panchina di San Siro. Però una volta che si fa una scelta di questo tipo, la si deve difendere fino alla fine, e ciò vuol dire lasciare a De Boer il tempo di trasmettere ad una squadra voluta e preparata da Mancini, le sue idee di gioco. La situazione di classifica dell’Inter è senz’altro inaccettabile, ma le sconfitte rimediate fino ad ora dovevano essere il sacrificio necessario per rendere il “progetto De Boer” innanzitutto credibile, e successivamente magari anche vincente. Con l’esonero di De Boer la dirigenza ha reso le sconfitte rimediate un sacrificio vano, facendo pagare all’olandese lo scotto degli errori commessi da essa stessa. Ma chi è causa del suo mal pianga se stesso.
L’esonero poi è avvenuto in prossimità di un fondamentale match di Europa League, che poteva imprimere una spinta decisiva all’Inter in chiave qualficazione. Se con De Boer c’era la possibilità di tornare dall’Inghilterra con tre punti in cassaforte, dopo il suo esonero le possibilità di una spedizione vittoriosa al St. Mary Stadium sono drasticamente scese. Altro errore cruciale è stato esonerare De Boer senza avere già ben chiara una alternativa, o per lo meno solo un paio di soluzioni da far passare attraverso un veloce ballottaggio. In definitiva la dirigenza ha trasformato De Boer nel perfetto capro espiatorio del prevedibile periodo di difficoltà iniziale dell’Inter, dopo avergli affidato a circa due settimane dalla prima giornata una squadra assemblata e allenata dal suo predecessore.
Per lo meno nella scelta del sostituto ha prevalso il candidato della vecchia dirigenza, ovvero Pioli, che è riuscito ad imporsi su Marcelino, candidato invece del gruppo Suning (già, ci sono persino scontri interni tra vecchia e nuova dirigenza). Innanzitutto è un allenatore italiano, quindi perlomeno conoscitore della lingua e del campionato, poi sembra avere quelle caratteristiche per poter riportare una parvenza di ordine in un ambiente in cui dell’ordine non si è vista neanche l’ombra. A mio modestissimo avviso la scelta giusta nel ballottaggio tra l’ex Lazio e lo spagnolo.
Sfogliando rapidamente la sua tesi del master di Coverciano, notiamo subito che Pioli parla di equilibrio, elasticità e raziocinio del sistema di gioco. Equilibrio ed elasticità saranno sicuramente una prerogativa di Pioli per quanto riguarda la fase difensiva, che si basa sul pressing delle punte sui difensori centrali per costringerli a giocare la palla sulle fasce laterali del gioco, mentre gli esterni nerazzurri dell’Inter si alzano e in mezzo al campo si crea densità. Lo abbiamo visto sia a Bologna sia alla Lazio. E’ un sistema difensivo che si basa su coordinazione nei tempi e occupazione degli spazi. Poi Pioli avrà a disposizione anche gli interpreti per rendere il sistema di gioco elastico in fase offensiva, basti pensare a Banega e Brozovic.
Pioli dovrà inevitabilmente ricorrere alla difesa a quattro. I centrali dell’Inter sono bravi ma non hanno le capacità tecniche e tattiche per impostare una manovra d’attacco. Il gioco allora nascerà o dai terzini o da un centrocampista di manovra come Joao Mario, che risulterà imprescindibile nel gioco di Pioli, dove andrà a ricoprire il ruolo di Perez al Bologna e Biglia alla Lazio. Joao Mario è imprescindibile ma ha anche degli evidenti limiti in fase di interdizione, proprio per questo potrebbe essere affiancato da Medel, per rendere la squadra più equilibrata. In questo avvio di campionato poi è stato evidente l’abuso delle corsie esterne nello sviluppo del gioco. Pioli nel suo recente passato ci ha dimostrato di saper mandare in rete spesso e volentieri i centrocampisti con delle incursioni centrali, pensiamo ai gol di Mauri e Parolo alla Lazio. Per permettere questo tipo di gioco occorre che il centravanti venga incontro al portatore di palla per portare via un uomo alla difesa e permettere l’inserimento delle mezze ali. E’ un lavoro che richiede grande sacrificio, sia in termini di corsa che in termini di presenza in area, bisogna vedere come si adatterà Icardi al compito.
Icardi è l’altra incognita dell’Inter. Da un lato è il grande leader tecnico di questa squadra. Lo ha dimostrato nella meravigliosa prestazione a San Siro contro la Juventus ma non solo. Anche contro il Crotone ha trascinato la squadra alla vittoria negli ultimi minuti. Desta qualche sospetto la sua credibilità come leader spirituale di questa squadra e come capitano, ma del resto parliamo di un ragazzo di 23 anni, che evidentemente non ha completato la sua maturazione. Forse è stato prematuro mettergli la fascia da capitano al braccio, soprattutto dopo la contestazione con la curva ancora recalcitrante a placarsi, ma privarlo ora della fascia e tornare sui proprio passi sarebbe l’ennesima, imperdonabile, ammissione di colpa…