“Here comes the story of the hurricane”
“Ecco che arriva la storia dell’uragano”. L’uragano? Quale uragano? No, la celebre canzone non vuole raccontarci la storia di nessun uragano, ma vuole raccontarci la storia di Rubin Carter, passato alla storia come Hurricane, anche grazie alle strofe di un certo Bob Dylan, ma soprattutto a causa della sua triste, sfortunata, travagliata esistenza.
Rubin Carter ci ha lasciati ormai due anni fa, all’età di 76 anni, nella lontana e fredda Toronto. Ma le sue radici affondano nella più triste e desolata Paterson, New Jersey. Sorta per sfruttare l’energia delle vicine cascate e poi devota alla lavorazione della seta, la malinconica Paterson, purtroppo per il giovane Rubin, non offre molto altro. Il ragazzo cresce insieme alla bellezza di altri sei fratelli, ma nonostante la famiglia così numerosa i genitori riescono a sostenere ed educare, senza particolari problemi, la abbondante prole. Anche se il soprannome “Hurricane” gli verrà affibbiato qualche anno più avanti, il piccolo e irrequieto Rubin non esita a guadagnarselo già nei primi anni di vita con una serie di spiacevoli inconvenienti con la giustizia. In men che non si dica, il nostro uomo trova dimora in riformatorio per aggressione e furto alla tenera età di quattordici anni. Ma il sofferente Rubin mal sopporta l’asfissiante rispetto di quelle regole che si è sempre tanto divertito ad infrangere, e così fa su fagotto e scappa dal riformatorio. Le alternative, una volta riassaporato l’eccitante profumo della libertà (non guadagnata) non sono molte, così Rubin, a soli diciassette anni, decide di arruolarsi. Dopo il periodo di addestramento in Carolina del Sud, Carter viene spedito nella lontana Germania, dove comincerà ad interessarsi a quella che sarà, insieme all’eterna lotta contro la legge, la sua grande passione, il pugilato. Com’era da immaginarsi però, il soldato Carter comincia a soffrire la rigida disciplina militare ed è chiamato a presentarsi per un numero indefinito di volte al cospetto della Corte Marziale per insubordinazione. Nel 1956, stremato dal comportamento di Rubin, l’esercito congeda il soldato Carter definendolo “inadatto al servizio militare”. Tornato a casa, deve fare i conti con un vecchio conto da pagare, e sconta dieci mesi in carcere per la sua fuga dal riformatorio, ma tra una aggressione ed una rapina, gli anni in carcere diventeranno quattro…
In prigione tuttavia Rubin riscopre la sua grande passione, la boxe, e scopre anche un certo talento per questo sport, tanto che, una volta rilasciato nel 1961, diventerà un pugile professionista. Lo stile prorompente, aggressivo, i baffi folti e la testa rasata, che lo proiettano vent’anni nel futuro, attirano l’attenzione del pubblico, valendogli, finalmente, l’appellativo di Hurricane, l’uragano. A testimonianza del fatto che Hurricane, oltre ad una testa calda, fosse dotato anche di talento per la boxe, è la possibilità di guadagnarsi il titolo mondiale dei pesi medi con Joey Giardello, italoamericano campione in carica. Dopo quindici duri e sanguinosi round, tuttavia, Carter è costretto a soccombere alla decisione unanime dei giudici di assegnare la cintura di campione al suo sfidante, col forte, fortissimo sospetto, ma non fondato, che la decisione della giuria abbia a suo fondamento una motivazione razziale…
Da quel giorno, da quella sconfitta, è cominciato il vertiginoso ed inarrestabile naufragare della vita di Hurricane.
Pistol shots ring out in the barroom night
Enter Patty Valentine from the upper hall.
She sees the bartender in a pool of blood,
Cries out, “My God, they killed them all!”
I colpi di pistola rimbombano nel bar, entra Patty Valentine dal ballatoio, vede il barista in una pozza di sangue e grida “Mio Dio! Li hanno uccisi tutti!”
Sono le 2.30 del mattino del 17 giugno 1966 quando due uomini armati entrano al “Lafayette Bar ‘n’ Grill” di Paterson e aprono il fuoco sugli avventori. Il bilancio delle vittime è un’ecatombe. Due uomini, tra cui il barista, muoiono sul colpo. Una donna, ben più sfortunata, muore dopo un mese di atroci sofferenze per i numerosi colpi di proiettile. Un quarto uomo, il più fortunato, sopravvive allo spietato attacco ma perde la vista da un occhio.
Meanwhile, far away in another part of town
Rubin Carter and a couple of friends are drivin’ around.
Number one contender for the middleweight crown
Had no idea what kinda shit was about to go down
When a cop pulled him over to the side of the road
Just like the time before and the time before that.
In Paterson that’s just the way things go.
If you’re black you might as well not show up on the street
‘Less you wanna draw the heat.
Già, l’inconsapevole Hurricane sta guidando per la città con un paio di amici, ignaro della strage appena compiuta, quando un poliziotto lo fa accostare; perché in quel periodo, in America, “se sei nero è meglio che non ti faccia nemmeno vedere per strada, a meno che tu non voglia attirare l’attenzione”.
Un noto gangster della zona, chiamato Alfred Bello, dopo aver assistito al blitz chiama la polizia. Tra le macerie del bar trovano un uomo, il superstite, e lo portano all’ospedale.
Four in the mornin’ and they haul Rubin in,
Take him to the hospital and they bring him upstairs.
The wounded man looks up through his one dyin’ eye
Says, “Wha’d you bring him in here for? He ain’t the guy!”
Alle quattro del mattino fermano Rubin e lo portano al sopravvissuto. “Cosa lo avete portato a fare qui? Non è lui l’uomo!” Il pericolo sembra scampato.
Passano sette mesi quando Bello e un suo socio, chiamato Arthur Bradley, identificano in Rubin uno dei due carnefici. La macchina che guidava Hurricane sembrava tanto quella degli assassini, dice Patty Valentine…e poi quelle armi trovate nell’auto di Carter…sono dello stesso calibro di quelle usate per la strage… Nero… con precedenti penali… fai due più due… condanna alla prigione a vita. Peccato, può darsi che non sia sempre vero che due più due fa quattro.
No one doubted that he pulled the trigger.
And though they could not produce the gun,
The D.A. said he was the one who did the deed
And the all-white jury agreed.
“Nessuno dubitò della sua colpevolezza, e la giuria composta di soli bianchi emise il suo verdetto…”
Carter in carcere scrive “Sixteenth Round”, la sua autobiografia, che in qualche modo, passando di mano in mano, giunge fino a Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan, menestrello che contende ad un certo Ernest Heminguay l’incoronazione a più grande cantastorie della Boxe. Ne nasce un testo, una celebrazione, una difesa…il tutto contenuto in una grande, meravigliosa, struggente ballata, la ballata di Rubin Carter, The Hurricane
Yes, here’s the story of the Hurricane,
The man the authorities came to blame
For somethin’ that he never done.
Put in a prison cell, but one time he could-a been
The champion of the world.