Stati Uniti-Messico non può solo essere una partita di calcio, come non può essere solo una accesa rivalità. Spesso e volentieri due nazioni che condividono un confine maturano una rivalità particolarmente sentita, ma il derby della frontiera, Usa-Mexico, assume connotazioni sociopolitiche inscindibili dal contesto sportivo, tali da rendere un semplice scontro tra due squadre un confronto (molto controverso) tra due culture.
Le radici della rivalità attecchiscono proprio qui, in Italia, in un lontanissimo 24 maggio del 1934, in un match valevole per quel mondiale vinto poi dagli azzurri. Il risultato è un 4-2 tutto a stelle e strisce, ma da quella sconfitta El Tricolor trae lo spirito e la rabbia necessari per rimanere imbattuti fino al 1980, con l’impietoso bilancio per gli americani di 3 pareggi e 21 sconfitte, una maledizione. Nel 1980 però, in Florida, gli Stati Uniti spezzano una maledizione che stava diventando umiliante con una vittoria di misura per 2-1.
In periodi più recenti la rivalità degenera, fino ad assumere connotati prima volgari, poi sfociati nel becero. Nel 2004 a Guadalajara gli eterni rivali si affrontano in un match di qualificazione per l’Olimpiade. La provocazione è americana. Durante la rifinitura pre-gara Landon Donovan orina direttamente sul campo dei padroni di casa. Oltre che un gesto volgare è anche una mancanza di rispetto decisamente evitabile. I tifosi messicani accorsi in massa per sostenere El Tricolor non prendono bene, per usare un eufemismo, l’affronto di Donovan, e reagiscono nel modo più meschino, odioso e incivile possibile. Inneggiano a Osama Bin Laden.
Tre anni dopo, nel 2007, la situazione non migliora. E’ una partita amichevole, ma in fondo, per ovvi motivi, el partido de la frontera non potrà mai essere una partita amichevole. Landon Donovan segna il vantaggio americano e durante i festeggiamenti del gol Oswaldo Sanchez, portiere messicano, tenta di entrare e piedi uniti su Eddie Johnson, attaccante americano. L’obiettivo è uno solo, fortunatamente fallito, ovvero mandare Eddie all’ospedale. Nel 2009 si gioca ancora, al Columbus Crew Stadium, partita conclusa con un’altra vittoria statunitense per 2-0. Nel tunnel che riporta le squadre ai rispettivi spogliatoi il viceallenatore messicano Francisco Ramirez, colpisce alla testa il giocatore americano Frankie Hejduk.
Come avrete capito, questa sfida è decisamente intrisa di ostilità, e la recente elezione del neo Presidente degli Stati Uniti Donald Trump non ha fatto altro che aggiungere pepe ad una sfida che di pepe ne aveva già anche troppo. Il Presidente americano infatti si era macchiato di affermazioni quanto meno di pessimo gusto, definendo i messicani come nient’altro che “criminali, trafficanti e stupratori”, e aveva resa nota la sua intenzione, tutta da verificare, di costruire un muro anti-immigrazione lungo il confine tra i due stati. Nei giorni immediatamente successivi alla partita disputata l’undici novembre per le qualificazioni ai Mondiali di Russia 2018, i protagonisti di entrambe le parti hanno cercato di stemperare l’inevitabile tensione che si genera alla vigilia del match con dichiarazioni volte a scindere qualsiasi connotazione politica dal contesto sportivo, l’unico che dovrebbe essere rilevante. Michael Bradley ha dichiarato di aspettarsi che i tifosi incitassero la squadra nel modo più passionale possibile, ma “nel rispetto degli altri. Siano essi americani, messicani o assolutamente neutrali. Spero che le persone che arriveranno allo stadio vengano per guardare lo spettacolo di una bella gara, come tutti speriamo sarà quella tra due rivali che hanno grande rispetto reciproco”. Alle parole di Bradley hanno fatto eco quelle del CT Jurgen Klinssman, che ha ricordato che “La politica non c’entra niente. La rivalità che c’è tra noi e il Messico è uguale a quella che c’è tra Argentina e Brasile o tra Germania e Olanda. Questo è solo calcio, abbiamo una grande rispetto per il Messico e per il suo allenatore“. Anche Donovan si è aggiunto all’appello dei colleghi con un tweet:”Spero che stasera ognuno giochi/tifi con rispetto. Entrambe le squadre vogliono vincere, ma ricordate, è un gioco“.
Non solo i protagonisti sono rimasti nel bacino del politicamente corretto, ma sono sfociati, per fortuna, persino nel fair play, dando uno smacco terrificante al significato ideologico e politico che si celava dietro ad una gara così intrisa di tensione. Per fortuna la gara si è giocata nel rispetto degli avversari e delle nazioni, nel fairplay, senza che mai prevalessero retrosignificati che nulla centrano con lo sport.
Altro motivo di interesse che catalizzava l’attenzione su Usa-Messico era la Maledizione di Colombo. Al MapFre Stadium di Columbus, Ohio, la nazionale messicana arrivava dopo aver subito quattro 2-0 consecutivi sul suolo americano, come recita un video pubblicato dalla Federazione Americana e diventato virale, in cui compare Donovan che pronuncia le parole “dos a cero”. Due a zero. Ma El Tricolor ha scacciato la maledizione di Colombo portando a casa il match con un rocambolesco 1-2 agguantato nel finale con colpo di testa di Rafa Marquez, veterano messicano che abbiamo visto anche in Italia a Verona, sponda Hellas.
La maledizione è rotta, il clima è disteso, nessun aspetto ha assunto rilevanza se non quello sportivo. Viva le stelle e strisce e viva el tricolor. Viva El Partido de la Frontera.