La leggenda narra che Iasio, re dell’Arcadia, desiderasse ardentemente un figlio maschio, ma nonostante le numerose preghiere rivolte agli dei affinchè esaudissero il suo più grande desiderio sua moglie Climene diede alla luce una bambina, che chiamarono Atalanta. La delusione e la rabbia di re Iasio furono tali che decise di abbandonare la piccola creatura al suo destino sul monte Pelio. La dea Artemide dall’alto dell’olimpo non fu insensibile alla struggente tragedia della bambina condannata a morte certa, così decise di inviare sul monte Pelio un’orsa che accudì e allattò la piccola finchè questa non venne trovata da un gruppo di cacciatori che decisero di crescerla. Atalanta crebbe e divenne una meravigliosa cacciatrice ed una infallibile guerriera, capace di dimostrare il suo valore uccidendo i malvagi centauri Ileo e Reco col suo arco e infliggendo al cinghiale calidonio la prima delle ferite che condussero il mostro alla morte. L’eco delle sue imprese risuonò in tutta la Grecia, fino a quando il padre, colpito dalle gesta della figlia, decise di riaccoglierla presso di se.
E’ una storia di rinascita e sovvertimento dei pronostici la leggenda della dea Atalanta, abbandonata e disprezzata dal padre come il più indegno degli esseri viventi e poi divenuta così forte e così coraggiosa da abbattere le più spaventose e inaffrontabili belve dell’epica greca. La sua epopea è riecheggiata fino al 1907, anno in cui, a Bergamo, nacque la Atalanta Bergamasca Calcio in suo onore. La scelta del nome, valutando le ultime settimane, non poteva essere più azzeccata. Una squadra ritenuta sempre tra le papabili retrocesse dell’anno, considerata la provinciale per eccellenza, priva di ambizioni e possibilità, ha disseminato il suo cammino in campionato dei cadaveri delle più feroci fiere della nostra Serie A. Napoli, Inter e ora la Roma, ultima preda delle sue battute di caccia. Ma se l’Atalanta è passata dall’essere preda all’essere cacciatore un motivo c’è, anzi, ci sono una pluralità di motivi, che se prima potevano sembrare ambigui o comunque non trasparenti, ora sono proprio sotto i nostri occhi.
Il primo ha un nome ed una cognome, ovvero GianPiero Gasperini. Partì da Genova, la sua comfort zone, nel 2010, con l’obiettivo di dimostrare a se stesso e agli altri di saper convincere anche lontano da Marassi. Si ricorda un caotico andirivieni da Palermo e una tragicomica esperienza all’Inter in quella che doveva essere la sua grande occasione in una big dopo la lunga e sudata gavetta. La verità è che la grande occasione nerazzurra si era spenta ancor prima di essere vissuta. Gasperini non fece in tempo a mettere piede a Milano che già era stato bollato come provinciale, inesperto, inadeguato. Tanto scalpore aveva fatto la sua idea di far giocare i meneghini con la difesa a tre. “E’ una assurdità”, “va bene per le provinciali”, tuonava la stampa, così cieca e priva di lungimiranza se consideriamo che di li a poco Napoli, Udinese e Roma sono ricorse alla difesa a tre e che la Juventus ne ha fatto il caposaldo della sua egemonia in Italia. Dopo cinque partite e un solo punto in cassaforte ha fatto le valigie e ha lasciato Milano. Diciamo che la richiesta di cessione di Sneijder, leggendario protagonista del triplete, potrebbe aver costituito una spintarella per il suo esonero. Missione fallita, si torna a Genova, sponda Grifone. Dopo tre anni di su e giù arriva l’occasione della redenzione, la chiamata da Bergamo per allenare l’Atalanta, in piena ricostruzione dopo i saluti a Bellini, Paletta, De Roon, Cigarini e Borriello, in poche parole la spina dorsale della squadra.
Se diamo una rapida occhiata ai primi risultati ottenuti da Gasperini si oscura la vallata, e si oscura per davvero. Tre punti nelle prime cinque giornate, peraltro conquistati col Torino grazie ad un decisivo aiuto di Hart. Se parliamo di prestazioni poi andiamo anche peggio. Parte con la Lazio col suo affezionatissimo 3-4-3, salvo poi arrendersi per 4-3 con la formazione capitolina. Nelle successive quattro partite Gasperini cambia moduli e cambia interpreti ma il risultato non cambia, così la classifica dopo cinque giornate di Serie A vede l’Atalanta penultima a tre punti davanti soltanto al fanalino di coda Crotone. Dopo la sconfitta per 1-0 contro il Palermo Gasperini pretende una reazione, forte e decisa, perché come ha detto lui stesso “l’Atalanta non è una squadra che non reagisce”, e per vedere la reazione è pronto a fare la rivoluzione. La rivoluzione avviene soprattutto a livello di interpreti. Ad inizio anno erano tornati dai prestiti a Cesena Caldara e Kessie, Petagna era arrivato dall’Ascoli e Grassi era tornato di fretta dalla fallimentare missione a Napoli. Sono loro, insieme a Gagliardini e Conti, gli uomini della provvidenza. Dovevano essere delle comparse, degli uomini turn over, doveva essere Paloschi, il fiore all’occhiello del mercato atalantino, il “go to guy”. Ma questa è una storia di vittorie inaspettate, di rinascite, di bambine abbandonate che diventano cacciatrici di mostri, così le comparse diventano le superstar. Il successo della scommessa di Gasperini viene riconosciuto ed ammirato anche per via delle convocazioni di Conti, Grassi, Petagna e Caldara tra le fila di mister Di Biagio, tecnico dell’under 21 azzurra, che ne ha fatto la vera colonna portante del suo gruppo. La festa poi è stata per Gagliardini convocato da Ventura per il doppio impegno con Lichtestein e Germania. Un successo su tutto il fronte, la dimostrazione che scommettere sui giovani cresciuti in casa può rivelarsi un scelta felice e magari anche vincente. Ma per poter puntare sui giovani che sia hanno a disposizione bisogna prima investirci tempo e denaro, e anche in questo caso il motivo dei successi atalantini ha un nome ben preciso, Zingonia.
Zingonia altro non è che l’ambizioso progetto dell’imprenditore Renzo Zingone, che in preda al delirio d’onnipotenza mirava a costruire nella Bassa Bergamasca un conglomerato abitativo e produttivo che conciliasse armoniosamente residenze dei lavoratori, unità lavorative, servizi e svago. Il progetto del Signor Zingone è naufragato tristemente lasciando un pugno in un occhio fatto di cemento, un quartiere popolare insomma. Il caso tuttavia ha voluto che proprio a Zingonia l’Atalanta abbia posto il suo quartier generale, la meravigliosa fucina di giovane talento che ha fatto le fortune del club. Dietro al successo di Zingonia ci sono un nome ed un cognome ben precisi, Mino Favini, che da vent’anni dirige il settore giovanile dell’Atalanta, uno dei più produttivi d’Italia e d’Europa. Il centro di Zingonia tuttavia è un ingranaggio che ogni anno deve essere alimentato con circa quattro milioni di euro per funzionare a dovere e per mantenere la sua proverbiale efficienza. Circa quello che spende una media squadra di Serie A per fare il mercato estivo. Ma proprio qui si annida la chiave del recente successo bergamasco. Investire in giovani allenati da personale altamente qualificato, seguiti da quando mettono piede a Zingonia fino al loro approdo in Primavera, fornire infrastrutture sportive di primissimo livello (recentemente potenziate con un investimento da 10 milioni di euro) è una tattica di successo. Come dice il Signor Favini “un giocatore di 10 anni di giudica dallo stop. In quel gesto c’è il rapporto naturale che il bambino ha con la palla. Testa-palla, petto-palla, coscia-palla. E poi il piede: interno, esterno, punta, tacco, suola”. Queste “attitudini innate” dei giovani giocatori sono le fondamenta del complesso e attento lavoro che renderà questi bambini calciatori e uomini completi, un lavoro che si basa su ripetitività di singoli gesti, schede di lavoro personalizzate e attenzione alla crescita umana e culturale dei giovani. L’emblema del successo del sistema atalanta è stato Gianpaolo Bellini, entrato nei pulcini dell’Atalanta e ritiratosi l’anno scorso da capitano della squadra bergamasca. Ma i giocatori sfornati da Zingonia sono tanti altri, Baselli, Montolivo, Pazzini, Bonaventura e Zaza sono solo pochi dei nomi illustri cresciuti in Lombardia.
Sulla rinascita di un tecnico, sulla lungimiranza della dirigenza, su un sistema rodato e vincente di crescita dei giovani e sulla passione di una comunità che ogni giornata riempie lo Stadio Atleti Azzurri d’Italia e su tanti altri fattori si fonda la rapida crescita che ha portato l’Atalanta a guadagnarsi 21 punti nelle ultime otto giornate, che al momento valgono il quarto posto a 25 punti alla squadra di Gasperini. La bambina abbandonata si è fatta cacciatrice, la provinciale si è fatta grande, il cammino è intriso di difficoltà ma luminoso. Lunga vita alla Dea.