Può capitare che a volte, quando stai per toccare il cielo con un dito, una violenta intromissione del destino ti desti dal tuo sogno idilliaco scaraventandoti dal tuo utopico universo meraviglioso al più atroce ed ingiusto inferno. Non c’è un perché, ed è proprio questo che spaventa e lascia inermi dinnanzi al perfido agire delle congiunzioni astrali. Che motivo ci potrà mai essere dietro l’incubo che ha sepolto nelle montagne colombiane 71 persone che inseguivano il loro ambito e meritato sogno? Nessuno.
E’ il 10 maggio del 1973 quando a Chapecò, Santa Catarina, Brasile, viene fondata la Associaçao Chapecoense del Futebol, nata dalla fusione di Atletico Chapecoense e Indipendiente. Il clima che accoglie la neonata Chapecoense è quello del regime militare brasiliano che perseguita ed esilia i dissidenti politici. Nel 1977 la giovane Chapecoense si aggiudica, dopo una vittoria di misura sull’Avaì, il suo primo Campionato Catarinense. Non esattamente la Champions League ma come inizio non c’è male, tanto più se la vittoria da il diritto di partecipare Campeonato Brasileiro Serie A. La prima stagone nel massimo campionato brasiliano non è esattamente un successo per la Chapecoese, per usare un eufemismo, che conclude l’annata cinquantunesima. L’anno successivo è anche peggio, finiscono novantatreesimi, condannandosi a tornare indietro per le categorie brasiliane. Ma il destino, trentatré anni dopo, concede un’altra occasione alla squadra di Chapecò, che con le unghie e con i denti torna a vincere il campionato locale facendosi strada fino a riapprodare in Serie A, toccando l’apice nel 2014, quando la Chapecoense conclude la stagione appena alle spalle del Palmeiras guidato allora dal Gabriel Jesus ora in forza al Manchester City. Lo stesso Palmeiras, lo scorso 27 novembre, ha conquistato il suo nono campionato brasiliano battendo per 1-0 la Chapecoense in quella poi diventata l’ultima partita disputata dalla squadra di Santa Catarina, in procinto di partire per la Colombia per disputare la sudata e meritata finale di Coppa Sudamericana contro l’Atletico Nacional di Medellin.
La Chapecoense tuttavia non arriverà mai a Medellin. Alle 2.30 ora italiana il volo 2933 della compagnia Lamia si spegne nelle montagne vicine alla capitale colombiana soffocando i sogni della Chapecoense. L’incidente viene ufficializzato alle ore 4.33. Una bellissima favola che si conclude con la più atroce delle tragedie, che lascia sbigottito il mondo dello sport e non solo. Delle 77 persone presenti sul volo 71 hanno perso la vita tra i monti. 20 giornalisti, 8 dirigenti, 17 membri dello staff tecnico e 19 giocatori più 7 membri dell’equipaggio sono le vittime di un’ecatombe che riporta dolorosamente alla memoria la collina di Superga, dove giace il Grande Torino.
Proprio da Torino è arrivato il primo messaggio di cordoglio, durante la partita di Coppa Italia col Pisa, durante la quale sono stati ricordate le vittime della Colombia col minuto di silenzio rituale ed uno striscione che avvicina i granata ai brasiliani.
“Uniti dalla stessa tragedia”
Ma il pensiero alla squadra brasiliana non si è fermato alla Torino granata. L’Allianz Arena e l’arco di Wembley si sono tinti di verde, colore sociale della Chapecoense, in commemorazione della tragica scomparsa, e l’Huracan giocherà la prossima partita con lo stemma della Chapecò sul petto. La Kop di Liverpool, storica curva dei reds, ha tributato la commovente “you’ll never walk alone” agli scomparsi e alle loro famiglie, molte squadre brasiliane e argentine si sono offerte di prestare giocatori alla squadra perché possa rinascere più velocemente, Cristiano Ronaldo, troppe volte accusato ingiustamente di insensibilità e superficialità, ha donato tre milioni di euro alla squadra e alle famiglie delle vittime e tutte le squadre brasiliane hanno cambiato l’immagine sui social con lo stemma della Chapecoense, ma le dimostrazioni di vicinanza e solidarietà sono davvero moltissime altre. La più nobile, la più commovente, è il gesto compiuto dall’Atletico Nacional di Medellin, squadra che doveva affrontare la Chapecoense in finale di coppa, che ha esortato la CONMEBOL ad assegnare la coppa ai brasiliani.
Anche se spesso è business, lucro, marketing, denaro, dinnanzi a immani tragedie come questa lo sport si fa veicolo di solidarietà, di vicinanza, di sensibilità, perché lo sport, prima di tutto, unisce.
La Chapecoense vive.