“No, non ci prenderanno: siamo in missione per conto di Dio”
Queste sono le parole rivolte da Elwood Blues (interpretato da Dan Aykroyd) al fratello Jake Blues (interpretato da John Belushi), durante la loro folle fuga dalle forze dell’ordine bramose di vendetta. Non potevano prendere i fratelli Blues, erano in missione per completare una missione affidatagli nienetemeno che da Dio durante la pazza funzione tenuta dal reverendo Cleophus James (James Brown) nella chiesa battista di Triple Rock. Chissà che anche Antonio Conte, accasatosi quest’anno sulla panchina dei Blues di Stanford Bridge, non abbia pensato egli pure di essere imprendibile dall’alto della vetta della classifica conquistata con 40 punti e prestazioni sempre più convincenti. Alla prima esperienza internazionale Conte non s’è fatto attendere. Se l’impatto con un campionato ed una realtà calcistica così differente ha, solo all’inizio, inevitabilmente portato i Blues di Conte a qualche passo falso, ora il Chelsea è una macchina consolidata ed efficace, capace di coniugare in modo funzionale solidità difensiva, bel gioco e efficienza.
Sia nella veste di allenatore della Juventus che in quella di commissario tecnico azzurro, Conte aveva mantenuto una smisurata passione per la difesa a tre e per le due punte, che se nel periodo juventino si esplicitava in elasticità di modulo e tratti di bel calcio nel periodo a Coverciano faceva leva su interpreti muscolari, aggressività e solidità del terzetto difensivo. Gran parte di questa filosofia e di questo approccio Conte lo ha messo in valigia per applicarlo a Londra con un Chelsea reduce da una annata disastrosa cominciata male con Mourinho e proseguita malissimo con Hiddink.
Prima di ogni altra cosa era necessario verificare il processo di ambientazione che Conte avrebbe avuto con la Premier League, che per diversi aspetti si discosta dal nostro campionato. L’aspetto tattico del gioco assume meno rilevanza per lasciare spazio ad un calcio frenetico, velocissimo, muscolare e a tratti quasi nevrotico. Ma il calcio inglese vive anche di sentimento, di passione, di emozione. E chi più di Antonio Conte traduce sul campo sentimento, passione ed emozione? Chi più di Antonio Conte vive gli attimi della gara con tensione, genuina spontaneità e abbandono alle emozioni? La convivenza tra l’ex C.T. e il calcio inglese innanzitutto poggia quindi su una affinità di approccio che tuttavia in alcuni aspetti diverge. Conte ha sicuramente introdotto disciplina tattica, senza snaturare un calcio che per sua natura è irrazionale, ma incanalandolo in un piano di gioco più rigoroso e funzionale ad un solo scopo, vincere. Il tipo di mentalità trasmesso da Conte al Chelsea è lo stesso utilizzato con Juventus e Italia, aggressività in fase di non possesso e in fase offensiva non una infintà di alternative ma soluzioni chiare ed efficienti, senza perdersi in minuzie tattiche da gioco di posizione od ossessiva elaborazione dati da laptop trainer. Aprire gli spazi e verticalizzare. Punto. A facilitare il compito è sicuramente la scelta degli interpreti, muscolari ed estremamente dinamici, non tutti incredibilmente tecnici ma tutti dotati di una soprendente finezza tattica e di spirito di sacrificio. Gente che sa perfettamente cosa fare e che non si tira indietro di fronte alla battaglia, spirito perfettamente incarnato dal centravanti di Conte, Diego Costa.
In altri aspetti Conte ha cercato di ricreare un assetto affine a quello utilizzato con Juventus e Italia, basti pensare alla difesa a tre, anche se dal centrocampo in poi ha apportato alcune modifiche, sintomo di grande spirito di adattabilità al materiale a disposizione e al contesto. La difesa a tre poi non è interpretata da mastini o semplici marcatori, ma Antonio Conte ha voluto riutilizzare una soluzione più volte esplorata negli anni precedenti, ovvero cominciare a costruire la manovra già dalla linea dei difensori, avvalendosi di un fine costruttore di gioco come David Luiz, che protetto da Cahill e Azpilicueta è libero di impostare la prima manovra d’attacco, sgravando da tale compito i due centrali di centrocampo. La ricostruzione del Chelsea quindi passa anche dalla capacità di rivalorizzare giocatori un tempo considerati finiti come David Luiz, complice della debacle brasiliana al mondiale, affidandogli le chiavi del suo gioco del considerevole filotto di vittorie fin qui conseguito.
Altro giocatore accantonato dalla gestione Mourinho-Hiddink e rivitalizzato dal tecnico salentino è Victor Moses, acquistato dai Blues nel 2012 per 11,5 milioni di euro dopo una brillante stagione al Wigan e poi caduto in disuso negli anni successivi. La capacità di Conte nell’utilizzare il materiale a disposizione riadattandolo a contesti differenti ne ha fatto tuttavia un’arma pericolosa e fondamentale per il progetto tecnico del Chelsea. L’attenzione e l’acume di Conte hanno fatto si che il giocatore nigeriano scavalcasse nelle gerarchie giocatori molto più tecnici ed estrosi, basti pensare ad Oscar, ora venduto per cifre spaventose ai magnati cinesi. Alla fantasia e alla tecnica fine a se stessa Conte ha preferito il pragmatismo e la completezza di Moses, molto più muscolare e completo di Oscar, Fabregas o Willian, vero equilibratore tattico di questa squadra, capace di coprire una zona di campo molto più ampia e di garantire una fisicità ed una resistenza uniche, in un ruolo che alla Juventus veniva ricoperto da Lichtsteiner e in Nazionale da Candreva. Ma Moses non è solo corsa e muscolo, ha una capacità fondamentale nel piazzare il proprio baricentro posizionale leggendo le esigenze della squadra e la posizione degli altri interpreti in campo. Tale capacità consente a Moses di sganciarsi ed attaccare la profondità, dialogando con Pedro e a volte scambiandosi con lo stesso spagnolo, o rimanere più bloccato in situazioni di emergenza lasciando campo sulla fascia opposta.
Su una difesa solida, capace di concedere fino ad ora solo undici reti in sedici partite, su una cura della tattica attenta ma non maniacale, tale da non ingabbiare i costruttori di gioco in schemi troppo rigidi, sul solito approccio aggressivo e solido Conte ha costruito una squadra a tutti gli effetti pronta per lottare per il titolo. Ha ricreato il suo microcosmo riproponendo tematiche già viste in altri contesti del suo passato ma riadattandole alla caratteristiche dell’ambiente nuovo ed inesplorato del Chelsea. Complice la discontinuità delle dirette rivali, questo Chelsea può puntare davvero in alto, grazie agli insegnamenti del maestro Conte e all’abnegazione dei suoi Blues Brothers.