Sono rimasta molto colpita da come Velia Boscolo Contadin ha saputo raccontarsi. Ho incontrato Velia – detta “lupetta” – qualche settimana fa durante una gara ad Agna, e fin da subito ho intuito che la sua grinta doveva nascere da una storia complicata.

«Mi serviva una cassaforte in cui chiudere le armi che tanto mi spaventavano, così ho deciso d’andare al poligono più vicino per chiedere consiglio su come detenerle. Il responsabile del poligono mi ha proposto di sparare qualche colpo prima di spiegarmi il resto e ammetto che al primo sparo mi sono messa a piangere per la paura. Eppure, nonostante il timore, l’adrenalina che mi ha smosso quel rumore ha fatto sì che l’idea di sparare entrasse subito nel mio DNA. Un colpo, un altro, non capivo perché ma sentivo che sparare mi faceva stare bene. A quel punto il responsabile del poligono, stupito quanto me, mi ha proposto di tornare sulla linea di tiro. Sparavo bene, avevo buona mira». Ma Velia deve pensarci, deve capire se è proprio questo che vuole.
«Ho dovuto rifletterci due giorni interi, poi mi sono presentata sui campi di tiro. Ero fiduciosa, sapevo che quella sarebbe stata per me una rinascita. Da quel momento il campo di tiro è stato per me un punto fisso, un luogo stabile tra mille lavori traballanti. Sempre in transito tra Veneto e Toscana, sola con una bambina a cui pensare, il tiro dinamico è diventato la mia valvola di sfogo».
Chiedo a Velia quali siano le particolarità del tiro dinamico e lei mi spiega che «concentrazione, forza, energia e isolamento sono i punti di forza di questo sport», proprio ciò di cui Velia aveva bisogno. Le occorreva un’attività sportiva che la «obbligasse a staccare» mantenendo la massima concentrazione: «Perché questo sport non perdona e con le armi non si scherza». Difatti, come ci tiene a precisare, «Il tiro non ti permette distrazioni, non è come fare una corsetta tra amici. Il tiro chiede che tu sia lì con la testa, sempre!».
Domando a Velia quale sia l’impegno che mette nel tiro dinamico e scopro che questa donna non si ferma mai: «Dal 2014 e per tutto il 2016 mi sono allenata due volte la settimana, anche di più se in ballo c’erano gare importanti. E poi tre volte la settimana in palestra per sedute di ginnastica funzionale, TRX suspension training e corsa». Ma non è finita qui, perché l’impegno non è soltanto fisico e muscolare, così infatti mi spiega Velia: «Quando hai terminato di sparare e torni a casa, non ti limiti a riporre le scarpe e a mettere in lavatrice la tuta da ginnastica. Quando torni devi pulire le armi e i bossoli che hai raccolto per la successiva ricarica, e poi, appunto, devi ricaricare i colpi. Ma ancora non ti fermi, e fai “allenamento in bianco”. Questo è uno sport a trecentosessanta gradi».
E come si sente Velia quando è sui campi di gara?

«I tiratori più esperti mi hanno sempre detto che per superare la tremarella occorre fare gare, tante gare, perché bisogna ambientarsi. È per questo che ho avuto la bella idea di scorrazzare per tutta l’Italia, competizione dopo competizione, per due anni: facendo in contemporanea la mia macroarea, le due macroaree adiacenti e le gare di fascia A». E qui occorre far presente a chi non è del settore che per fascia A si intende il Campionato d’Eccellenza, a cui partecipano di diritto i tiratori migliori – Master e Grandmaster – e coloro che hanno vinto nelle proprie categorie d’appartenenza della macroarea in gui gareggiano; le gare di fascia B, invece, definiscono il Campionato Federale di Macroaerea.
«A ogni gara – continua Velia – imparavo qualcosa di nuovo, apprendevo come evitare gli “errori di sicurezza”, mi impratichivo nel regolamento, studiavo nuovi approcci alle gare e cercavo di organizzarmi per affrontare al meglio il meteo e la durata delle competizioni. Come riempire la valigia, cosa mangiare in gara, cosa fare e non fare nelle quarantotto ore che precedono una competizione. Nel frattempo ho iniziato la collaborazione col mio attuale allenatore e da lì in poi la mia crescita è stata esplosiva. Nel 2016 ho fatto le mie prime due gare all’estero, completamente differenti da quelle che avevo affrontato in Italia. All’estero non si tappa!». E anche qui credo occorra dire che nelle gare di tiro dinamico è richiesto che ogni tiratore, a turno, ripristini l’esercizio; dunque le “carte” – i bersagli, per intenderci – vanno tappati: i buchi prodotti dai proiettili vanno coperti con lo scotch di carta, così da permettere al tiratore successivo di gareggiare con bersagli intonsi. A chi non è del ramo potrà sembrare soltanto una piccola scocciatura, in realtà può succedere che questo lavoro di ripristino tolga concentrazione agli atleti. Nonostante tutto, Velia sta ancora cercando il suo equilibrio. «Ho provato il campo di gara con e senza allenatore, con e senza bambina appresso, riposata e stanca, con tenacia agonistica o per puro svago, ma il giusto approccio mentale ancora non è arrivato».
«Sui campi trovo cortesia e gentilezza da parte dei tiratori e dei Range Officer. Credo che le donne, arrivando in qualunque ambiente a prevalenza maschile, portino primavera e dolcezza. E quando sui campi di tiro porto con me la mia bambina di dieci anni, la piccola è trattata come una principessa. Insomma, il tiro dinamico è uno sport con la esse maiuscola e proprio non merita i tanti pregiudizi di cui è fatto oggetto». Chiedo a Velia se si sia mai sentita rivolgere critiche in qualità di tiratrice e mi spiega che le persone a cui dice di praticare il tiro dinamico ne sono felicemente incuriosite. «Soltanto una volta mi è capitato di sentirmi dire che il nostro sport è fatto di campi fangosi e che noi atleti rientriamo a casa tutti sporchi, ho allora spiegato che succede anche a chi fa equitazione». È il caso di dire che Velia ha buona mira anche con le battute di spirito!

«Per me il 2016 è stato un anno di maturità, ma ora il mio allenatore mi spinge a impegnarmi maggiormente e a vincere, perché le potenzialità non mi mancano. Sento che a livello sportivo sono molto cresciuta, lo dimostra la serenità con cui mi relaziono sui campi». E Velia mi spiega che le sue amicizie nate in ambito sportivo le ritrova anche fuori e che le tiratrici sono «donne interessanti, con le palle. Ognuna di loro ha una storia originale alle spalle. Sono tutte armate di energia e grinta per vincere, ma sono anche mamme pronte a dare una mano». Dunque la vita sui campi parrebbe essere per Velia estremamente positiva. «È bello andare al campo o a una gara e salutare tutti: baci, abbracci, due chiacchiere e poi tutti pronti, rispettosi dei propri spazi e riti. È bello andare al campo e avere finalmente una super fotografa che immortala i tuoi più bei ricordi» e qui scusate se gongolo ma nel mio piccolo ho introdotto questa novità e i tiratori l’apprezzano.
«Non ho mai fatto foto. Ho iniziato lo scorso anno a filmarmi perché così posso rivedere i miei errori e correggermi di volta in volta. Qualche tiratore mi ha fotografata e quel fatto mi ha incuriosita, è pur sempre un gesto d’attenzione e le coccole non fanno mai male! Poi ho scoperto, grazie a Gaia, che essere fotografata è una bella sensazione, oltre che un’occasione per divulgare questo sport». Cosa che sostengo da tempo ma fa piacere quando ad affermarlo sono i diretti interessati.
E se volete un breve riassunto di cosa implica essere tiratori, ecco cosa dice Velia: «Tanto allenamento, in campo e in palestra. Dolori e pioggia. Pianti e delusioni. Chilometri in auto per allenarsi. Ma poi arrivano le gare e tutta la fatica sparisce per dare spazio al divertimento più completo» e Velia conclude ringraziandomi per ciò che faccio per questo sport, ma sono le parole di un’amica e mi perdonerete se le tengo soltanto per me. Le ripongo in un posto speciale, dove ricordo con affetto tutti coloro che vivono e si spendono per il tiro dinamico. Uno sport, certo, ma anche uno stile di vita.
Articolo e foto di Gaia Conventi