Nel maggio 2012 una serie di eventi sismici ha colpito la Pianura Padana centrale includendo, oltre alla bassa pianura emiliana e l’Alto Polesine, anche il territorio mantovano causando la morte di 27 persone.
“Il terremoto ha generato, come sempre purtroppo accade, vittime e danni di carattere economico ad attività e strutture, ma in quest’occasione, oltre alla tragica e consueta sequenza di effetti, il terremoto ha evidenziato nuovi scenari” dichiara Vincenzo Giovine, Vice Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi.
“Innanzitutto – spiega il geologo lombardo – il sisma ha colpito un territorio ritenuto a bassa sismicità, preparato più ad affrontare problemi legati a fenomeni alluvionali anziché sismici. Inoltre, a livello di effetti provocati, si è assistito non soltanto a una diversa distribuzione degli stessi con differente entità di danno dei fabbricati posti in zone adiacenti tra loro, ma anche al verificarsi di fenomeni di liquefazione delle sabbie. Il problema ha quindi evidenziato – continua il Vice Presidente CNG – non solo una diversa vulnerabilità degli edifici ma, soprattutto, una forte componente di carattere geologico legata alla natura dei terreni, all’idrogeologia e al loro comportamento in termini di amplificazione sismica. La Lombardia, attualmente, si è dotata di studi microzonazione sismica di primo livello che coprono il territorio regionale, tuttavia, anche sulla base dell’esperienza vissuta in particolare nel mantovano, appare necessario insistere per incrementare la conoscenza geologica dei territori mettendo a frutto le competenze specifiche dei geologi professionisti nell’ambito di verifiche di sismiche, per poi procedere, consequenzialmente, ad intervenire anche sul grado di sicurezza dell’edificato verificando l’interazione tra terreno e strutture”.
Il consigliere emiliano CNG, Gabriele Ponzoni, ribadisce ancora una volta il concetto della prevenzione: “A sei anni di distanza dal terremoto in Emilia Romagna, vogliamo dire che è necessario adottare misure e strumenti volti alla mitigazione del rischio sismico nel nostro Paese per due ragioni: la prima è quella di tutelare le generazioni future grazie a corretti comportamenti da adottare in caso di eventi sismici e la seconda è quella di mettere in sicurezza il patrimonio edilizio italiano, pubblico e privato”. “A tal proposito, – prosegue Ponzoni – la figura del geologo professionista è fondamentale per la conoscenza delle abitazioni in cui viviamo, proprio per sapere se le nostre case sono state costruite con adeguati criteri antisismici o se viviamo in abitazioni poco sicure in caso di terremoti”.
Il sisma non è stato avvertito soltanto nelle province di Modena, Ferrara, Bologna, Mantova e Rovigo, ma anche in Svizzera, Slovenia, Croazia e Austria. Sei anni dopo, a che punto è la situazione? “Nel sesto anniversario del terremoto dell’Emilia-Romagna, originato dalle sorgenti sismogenetiche generatrici delle dorsali di Ferrara e Mirandola, ancora una volta ci si chiede se è stato fatto tutto quello che è stato promesso” afferma il geologo veneto Paolo Spagna.
“Mentre l’azione governativa si è concentrata soprattutto laddove il sisma ha fatto vittime e danni al patrimonio edilizio, – continua il consigliere CNG – per una più immediata ripresa, sul fronte veneto, ciò che è stato registrato nei 21 comuni ricadenti lungo la sponda sinistra del Po, avrebbe dovuto far riflettere sulla necessità di rivedere le condizioni di rischio e conseguentemente riproporre nuove linee d’indirizzo. Infatti, nella parte meridionale del Veneto, che si sviluppa sul cosiddetto ‘materasso alluvionale’ del Po, i fenomeni sismoindotti che si generarono con le famose liquefazioni delle sabbie, fino ad allora in gran parte sconosciuti per quei territori, destarono un vero allarme in tutti gli amministratori locali, sia per quanto riguarda l’edificato sia per i relativi piani urbanistici di espansione. Ad oggi, però, al netto dei pochi contributi concessi dalla Regione Veneto per la ricostruzione e l’adeguamento sismico nei comuni interessati dalle scosse, nulla è stato fatto per garantire, anche in zona sismica 4 (la meno pericolosa), almeno l’approfondimento previsto dal primo livello della cosiddetta microzonazione sismica, permettendo di fatto ai sindaci di programmare il loro territorio in modo da ridurre il rischio sia dai fenomeni diretti sia da quelli indiretti” conclude Spagna.