Pochi argentini hanno giocato nella storia del Carpi, ma Adrian Ricchiuti lasciò il segno anche se solo per pochi mesi, ossia nella prima metà del 1998: 18 presenze e 1 gol e un gran contributo per raggiungere la salvezza in una combattuta stagione di Serie C1, la prima dopo l’amara Finale Play-off persa contro il Monza. A 41 anni El Chico, uomo simbolo del Rimini con il 10 sulle spalle e il talento innato de potrero nei piedi, si sta preparando per dare l’addio al calcio giocato (dipenderà ovviamente anche dal Coronavirus) e quindi la redazione del Mostardino.it lo ha contattato per parlare di fútbol e rivivere momenti attuali e passati, ripercorrendo una lunghissima carriera svolta tutta in Italia, dai dilettanti fino alla Serie A nel Catania degli argentini.
Ciao Adrian! Prima di iniziare una domanda per stare comodi: parliamo in spagnolo o in italiano?
“Come vuoi. Ormai parlo raramente lo spagnolo, anche perché a Rimini non ho tante possibilità di usarlo. Non ci sono problemi”.
Partiamo dalla tua partita di ritiro dal calcio giocato, annunciata per il 26 maggio e promossa sul tuo profilo di Facebook con video dei tuo gol e foto di repertorio. Intanto giochi ancora a San Marino.
“Stavo pensando di ritirarmi e dedicarmi ad altre cose. Dopo vorrei fare l’allenatore, magari partendo dai dilettanti. Spero di iniziare in estate perché ora i corsi sono bloccati a causa del Coronavirus. Mi vogliono come dirigente della Virtus Acquaviva, la squadra dove sto giocando nella Serie A di San Marino. Il livello è simile a quello dell’Eccellenza. Tre settimane fa ho segnato in una vittoria per 4-1 ed è venuto il virus (ride, n.d.r.). La data della partita era il 26 maggio, ma potrebbe anche slittare di un anno se la situazione non migliora”.
Ci saranno invitati speciali?
“Sì, vorrei invitare tutti (ride, n.d.r.). Io non dimentico nessuna delle squadre in cui ho giocato. Mi piacerebbe avere qualche compagno che ho avuto per esempio a Carpi, Genoa, Rimini e Catania. Sarà una bella festa per ricordare la mia carriera e mi piacerebbe condividerla con le persone più care”.
Sei chiuso in casa, ma ti tieni in forma con le sfide dei palleggi. Ed è tutto documentato con dei video: palleggi nelle scale, intorno a una scopa, con carta igienica…
“Sì, l’ultima è stata palleggiare e mettere la palla dentro uno zaino. I video sono sul mio profilo e su una pagina aperta da degli amici che mi lanciano le sfide (ride, n.d.r.). Non possiamo uscire di casa e passo il tempo così, giocando anche con mio figlio Mattia”.
In Emilia-Romagna le provincie più colpite dal Coronavirus sono Piacenza, Parma e Rimini. Come è la situazione dalle tue parti?
“Rimini è una città di mare e ora sembra morta. Stiamo cercando di restare a casa il più possibile e di fare le cose per bene. Dobbiamo ringraziare chi sta lottando perché lo sta facendo in maniera eccezionale. Mi riferisco a infermieri, medici, polizia, chi porta gli alimenti, i semplici cittadini che rispettano le ordinanze… Questo significa che l’Italia è unita e mi fa tanto piacere. Prima o poi dovremo ripartire perché questo è diventato un disastro di livello mondiale. Speriamo che tutto passi in fretta”.
Passando al calcio giocato, cosa pensi del Girone B di Serie C?
“Il Girone B si è delineato, si è visto chi può lottare per primi posti e chi per entrare nei Play-off. In zona retrocessione è lotta continua perché Fano e Rimini sono alla pari e Imolese è lì vicino. Il campionato potrà anche ripartire, ma non sarà la stessa cosa per giocatori e tifosi. Per colpa del virus è diventata una stagione strana e particolare. Si parla di riprendere a maggio e finire a giugno, ma l’idea non mi sembra così facile”.
Ricordo che eri in tribuna per vedere Carpi-Rimini 2-1 del 21 settembre 2019. Era la prima volta che tornavi a Carpi e al Cabassi?
“Sì, era la prima volta che ritornavo a Carpi. Sono passati 21 anni… Prima della partita volevo vedere come erano gli spogliatoi perché ai miei tempi non erano messi molto bene. Il Cabassi l’ho visto molto diverso, soprattutto per la Curva dietro la porta: mi è piaciuta moltissimo e so cosa significa avere i tifosi lì dietro. Per come cantavano ho sentito molta passione, come quando c’ero io. Nonostante i tempi fossero molto duri, c’era un grande supporto. In televisione ho apprezzato l’atmosfera dei derby”.
Hai visto anche il match di ritorno, finito 2-2? Che impressioni hai avuto dalle due squadre?
“Non ho potuto andare al Neri, quindi ho seguito da casa. Il Rimini ha trovato due gol uno dietro l’altro alla fine del primo tempo, ma nella ripresa si è buttato troppo indietro e dopo l’espulsione di Palma è arrivato il 2-1 del Carpi, che non ha smesso di attaccare e sembrava poter vincere. Prima dell’interruzione del campionato il Rimini stava andando meglio ed era in risalita. Nel mercato invernale ha cambiato molti giocatori e spero che riesca a portare la salvezza a casa. Il Carpi ha dimostrato di poter stare nei primi posti, ma credo che il Vicenza abbia qualcosa in più sul piano dell’esperienza e del pubblico, che al Menti si fa sentire sempre”.
Restando nei piani alti, ti ha impressionato qualche squadra?
“Forse in pochi si aspettavano la Reggiana in alto. È forte, gioca molto bene ma le manca equilibrio. Ha un attacco devastante e pensa sempre di poter vincere facendo un gol in più dei rivali. Se vuoi giocare in quel modo, dietro bisogna avere difensori veramente forti nell’uno contro uno, come quelli dell’Atalanta. Per esempio: il Rimini all’andata in Emilia perdeva 2-0 e pareggiò 2-2. In ogni partita gli avversari della Reggia hanno almeno 3-4 occasioni chiare da gol e non sempre ti puoi salvare, come è successo nel 5-1 contro il Carpi. A gennaio hanno preso Zamparo che era al Rimini e ha fatto qualche gol da subito”.
Per Modena e Cesena, saliti dalla D come la Reggio Audace, questo è un anno di ambientamento?
“Il Modena lo vedo coi piedi per terra. Non era partito benissimo e da qualche mese è entrato in zona Play-off. Magari l’anno prossimo punterà a qualcosa in più perché i mezzi economici ce li ha. Il Cesena, aldilà della rivalità con il Rimini, mi sembra inferiore e sta facendo un’annata di transizione. Non so se sarà pronto per dare l’assalto alla Serie B a partire dalla prossima stagione”.
Ora torniamo a 21 anni fa e ai tuoi sei mesi a Carpi in C1 nella seconda parte della stagione 1997-1998. Come fu questa tappa agli inizi della tua lunga carriera?
“Quando penso al Carpi mi ricordo sempre di Gianni Rosati: lui mi ha voluto quando ero in Serie B al Genoa e non giocavo mai. Mi ricordo che sono partito in treno da solo da Genova e quando sono arrivato a Carpi ho trovato freddo e nebbia. Avevo 19 anni e tanta voglia di giocare. Il momento non era semplice: la squadra era in zona retrocessione e gli stipendi ci furono pagati soltanto a fine campionato. Due anni dopo infatti ci fu il fallimento. Nelle difficoltà si formò un vero gruppo di amici uniti: ci arrangiavamo tra di noi perché, eccetto qualche compagno che viveva nei dintorni come Roberto Corradi, molti erano soli, senza parenti o famiglia. Eravamo uniti noi calciatori, l’allenatore e lo staff, compreso un magazziniere del quale non ricordo il nome ma che era una persona meravigliosa. Sono stati sei mesi fantastici. Mi ricordo che una volta abbiamo parlato con alcuni ultras del Mucchio Selvaggio per chiarire alcune cose. Io vivevo dietro lo stadio e ci andavo a piedi”.
Hai giocato 18 partite e segnato 1 gol decisivo al Cabassi contro la Cremonese. Te lo ricordi?
“Quel gol fu incredibile. Pensa che fino a sabato avevo le tonsille ingrandite, ma il mister mi fece giocare ugualmente. Il gol fu uno schema: punizione dalla destra sotto l’attuale curva, palla in area e segnai di testa sul primo palo. Non sono alto, eppure ho fatti parecchi gol di testa. A un certo punto della ripresa sono uscito perché non ne avevo più e per fortuna al 90′ Di Magno parò un rigore a Mirabelli. Purtroppo questa rete la trovi su Youtube (ride, n.d.r.)”.
A Carpi giornalisti e tifosi parlano sempre benissimo di te, anche se hai giocato solo i primi sei mesi del 1998. A 19 anni ti sei sentito importante in quel gruppo?
“Mister De Vecchi mi spronava dicendo ‘Che giocatore el niñooooo, che giocatore el niñooooooo!!!’. Era troppo forte. Mi sono sentito importante in tutte le squadre della mia carriera perché onestamente mi reputavo in grado di poter dare qualcosa. Nel calcio è vero che si gioca in undici e magari alcuni giocano meno di altri, ma secondo me tutti devono sentirsi importanti. In questo modo si migliora come singoli e come gruppo. Chiaramente tutto dipende anche dal carattere che uno ha. Quando andavo in campo volevo vincere. In quel Carpi man mano abbiamo preso consapevolezza dei nostri mezzi, ci abbiamo creduto tanto e ci siamo salvati meritatamente pareggiando in casa per 0-0 contro il Montevarchi all’ultima giornata. Il pareggio faceva comodo a entrambi”.
Il Carpi, penultimo nel girone d’andata con 17 punti, fece un bel girone di ritorno con 22 punti e si piazzò addirittura ottavo a quota 39. Che ricordi hai di quella squadra? Hai legato con qualcuno?
“Giocavamo con il 4-4-2 o col 4-4-1-1, il modulo con cui Castori è salito in Serie A. La punta era Bernardi: o giocavamo insieme o facevo il trequartista alle sue spalle. Pulga era il nostro capitano, la nostra colonna. Altri compagni che ricordo sono Cupi che ha giocato a Napoli ed Empoli, Corradi, Andrea Conti figlio di Bruno, Sala che era un difensore goleador, Alfieri, Di Magno portiere scuola Roma, Vernacchia, Lorieri e Turrone. Io alloggiavo in appartamento con Maddè e Birarda”.
Ci fu qualche possibilità di restare anche l’anno dopo?
“No. Finito il prestito, sono tornato al Genoa e da lì è proseguita la mia carriera. Mi piaceva stare a Genova, ma non avevo spazio e sono ripartito da Pistoia”.
Ti aspettavi di vedere il Carpi tra Serie B e Serie A?
“Assolutamente no. Quando sono arrivato, il Carpi era vicino al fallimento e tutto sembrava andare male. La verità è che ha un presidente e dei dirigenti che hanno saputo lavorare per bene. Non è semplice fare un doppio salto dalla Lega Pro alla Serie A, ma nemmeno mantenersi a quei livelli. Bonacini è una persona valida e spero che rimanga perché ha fatto davvero grandi cose”.
Quali giocatori ti piacciono di più della rosa attuale?
“Pezzi è cresciuto nelle Giovanili del Rimini e ha giocato alcune partite con me nel mio ultimo anno prima di andare al Catania (2008-2009, n.d.r.). Ha fatto una bella carriera, si era già imposto nel Benevento e l’ho visto molto migliorato. Ora gioca anche a centrocampo e sono contento che sia il capitano. Qualche mese fa ci siamo incrociati mentre correvo per Rimini. Un altro che mi piace è Biasci: sta segnando tantissimo e ha molta qualità”.
Conoscevi mister Riolfo?
“Non lo conoscevo, ma se è lì significa che ha fatto cose egregie prima. Dopo il 2-2 di Rimini l’ho visto molto amareggiato, ma la squadra lo sta seguendo e crede nelle sue idee. È uno che ha fatto la gavetta e sono sempre contento quando uno parte dal basso e arriva in alto con meriti”.
Hai conservato una maglia del Carpi?
“Sì, ma è a Roma nella casa di mia madre. Ho una collezione di circa trecento maglie”.
Si può dire che Ricchiuti è la storia del Rimini? I record sono tanti: 346 presenze, 76 gol segnati in cinque categorie diverse tra Serie B, C1, C2, Serie D ed Eccellenza, quattro promozioni, cinque tornei vinti, fascia da capitano… Eppure l’inizio non fu semplice.
“Ho la maglia del record delle 340 presenze, ma i record sono fatti per essere battuti e spero che qualcuno mi superi. Quando arrivai a Rimini dall’Arezzo c’era come presidente Vincenzo Bellavista, una grande persona che purtroppo non è più con noi. I miei primi sei mesi furono brutti perché non ero sceso dalla C1 alla C2 con la testa giusta. Non mi riconoscevo. Nella stagione seguente ci furono tanti cambi nella rosa e per mia fortuna arrivò in panchina Leonardo Acori, l’allenatore che mi fece debuttare a 16 anni in Serie D con la Ternana. Da lì è partita la scalata dalla C2 alla Serie B dove siamo rimasti per quattro anni”.
Qual è il Rimini più forte in cui hai giocato?
“Il Rimini più forte fu quello della stagione 2006-2007. Finimmo quinti, ma non si disputarono i Play-off (il Piacenza quarto con 68 punti aveva 10 punti in meno del Genoa terzo, n.d.r.) e salirono direttamente in Serie A Juventus, Napoli e Genoa”.
Sei passato alla storia per il gol del definitivo 1-1 alla Juventus nel debutto assoluto dei bianconeri in cadetteria.
“Quel gol lo condivido sempre con tutta la città. Era il debutto della Juventus in Serie B, in rosa c’erano tre neo-campioni del mondo come Buffon, Camoranesi e Del Piero e altri giocatori da Serie A. Quella squadra vinse il campionato quasi senza sudare. Ho sentito tanta adrenalina in noi giocatori e nei nostri tifosi da quando avevamo saputo che il primo avversario era la Juventus fino alla settimana di vigilia”.
A cosa pensavi quando hai scambiato il gagliardetto con Del Piero?
“C’era emozione, ma stavo pensando solo alla partita. Solo dopo, e anche col passare degli anni, ti fermi un po’ e pensi ‘Cavolo, abbiamo fatto 1-1 contro la Juventus!’ o ‘Ho segnato a Buffon’”.
Cosa manca al Rimini per vivere stagioni meno travagliate?
“Per il Rimini spero sempre nel meglio. Il nuovo presidente è qui da quasi quattro anni e sarebbe bello avere continuità invece di vivere tra Serie C e Serie D. Poi è chiaro che per fare calcio ci vogliono soprattutto i soldi oltre ad avere idee e spalle coperte”.
Dopo i Play-out persi contro l’Ancona e la retrocessione in C1 hai vissuto un periodo da fuori rosa perché non volevi lasciare Rimini. In quali squadre potevi andare e non sei andato?
“Non sono andato in tante squadre. Nel 2007 mi voleva il Brescia di Corioni, oppure dopo la retrocessione in C1 nel 2009 il Frosinone di Stirpe era interessato, ma io non volevo lasciare Rimini perché mi ero sistemato ed ero nella mia dimensione. Nell’ultimo anno a Catania mi voleva la Nocerina in Lega Pro”.
E infatti, a 31 anni ti è arrivata la chiamata del Catania in Serie A, dove già c’era una nutrita colonia di argentini. Cosa rappresenta per te quel periodo dal 2009 al 2013?
“Eravamo troppi argentini, tutti presi dal direttore Lo Monaco. Nel 2011-2012 eravamo 14. Una vera armata.. I quattro anni a Catania rappresentano il periodo più alto della mia carriera. Sono andato in Sicilia dopo la retrocessione in C1 del Rimini e, a quel punto della mia carriera, la Serie A era il massimo. Nell’ultimo anno Lo Monaco mi disse che volevano puntare di più sui giovani e che se volevo potevo andare via. A 35 anni mi sentivo maturo non mi andava di lasciare la categoria. Inoltre avevo instaurato un feeling particolare con la gente. Finita la stagione sono rimasto svincolato e mi prese l’Entella in Lega Pro Prima Divisione”.
Molti dei tuoi connazionali hanno fatto strada. Chi era il più forte?
“Erano tutti fortissimi e sono contento che tanti di loro facciano ancora la differenza ad alti livelli. Attualmente El Papu Gomez nell’Atalanta è quello che risalta di più perché ha avuto una crescita impressionante. Il portiere Andujar è stato a lungo nel giro della Nazionale argentina ed è capitano nell’Estudiantes; Bergessio segna e vince anche in Uruguay nel Nacional insieme a El Pitu Barrientos, un talento naturale scuola San Lorenzo che purtroppo ha avuto tanti problemi fisici; Silvestre ha giocato nell’Inter e nel Milan e ora è in Serie B con il Livorno; Izco è in B con la Juve Stabia; Ledesma, ex Boca Juniors, è tornato in Argentina all’Alvarado; Carboni allena i bambini del Catania; e Maxi Lopez è a Crotone con El Flaco Spolli che ho sentito qualche giorno fa. Spero che possano ritornare in Serie A”.
Hai ricordi particolari di altre piazze in cui hai militato?
“Ho vissuto sette promozioni. La prima con la Ternana dalla D alla C2 nel mio anno d’esordio (1994-1995, n.d.r.). Dopo Carpi sono andato a Pistoia e ho vinto un campionato di Serie C1: fu una promozione che nessuno si aspettava con mister Agostinelli. Sono stato bene pure all’Arezzo con mister Cabrini. Nel 2013-2014 con l’Entella abbiamo ottenuto la prima promozione in Serie B vincendo il campionato in maniera incredibile all’ultima giornata a Cremona. Ho avuto alcuni infortuni in quella stagione, ma il presidente Gozzi voleva farmi restare a tutti i costi e alla fine ho potuto dare una gran mano ai compagni, anche nella gara decisiva contro la Cremonese. L’Entella ha una società fortissima e mi fa piacere che sia di nuovo in B”.
E come è stato debuttare in Europa League e Champions League con La Fiorita di San Marino?
“Al La Fiorita ogni estate prendono giocatori esperti per disputare i preliminari di Europa League o Champions e si può chiamare chiunque solo per quelle gare. Avevo promesso di andare e sono andato nel luglio 2015. È un club che mi ha permesso di giocare nelle coppe europee per la prima volta ed è stato bellissimo. Ho giocato 2 partite di Europa League contro il Vaduz del Lichtenstein e abbiamo preso in totale 10 gol. Con me giocava Damiano Tommasi, ospite fisso quando ci sono queste gare. Nel 2017 sono tornato, questa volta per tutta la stagione, e ho giocato la partita di ritorno di Champions League contro il Linfield. In Irlanda del Nord abbiamo perso 1-0 ma non c’ero perché ero ancora a Rimini ad allenare i bambini. Al ritorno in casa è finita 0-0 e siamo stati eliminati”.
Hai sentito la musichetta della Champions League?
“Purtroppo no. All’andata fu suonato l’inno della Champions, poi al ritorno a San Marino mi ricordo di una delegata della UEFA che fece un sopralluogo dello stadio. Non so per quale motivo, ma poco prima di entrare in campo abbiamo saputo che era stato deciso di non passare la musichetta. Ci sono rimasto male, era il mio debutto in questa competizione… Forse avevo portato sfiga (ride, n.d.r.)”.
Ora andiamo con domande a mitraglia. I tre grandi momenti della tua carriera?
“La stagione di Serie B contro la Juventus; a Catania quando abbiamo fatto il record di punti in Serie A (56 nel 2012-2013, n.d.r.) e per poco non andavamo in Europa League; e l’esordio da professionista con la Ternana nel 1995 in C2, anche se avevo debuttato in D l’anno prima”.
I tre gol più belli?
“Contro la Juventus in Serie B; contro il Milan a San Siro in Serie A nel 2010 (2-2, n.d.r.); e il primo della mia carriera, che non si scorda mai, in un Pontassieve-Ternana di Serie D: abbiamo vinto 3-0 e ho sbloccato il risultato con un colpo di testa”.
I compagni più forti con cui hai giocato?
“Ce ne sono stati tanti e non voglio togliere nulla a nessuno. A Catania Barrientos, Papu Lopez e Maxi Lopez, mentre a Rimini scelgo Jeda, Floccari e Muslimovic. Nel Genoa, pur avendoci giocando poco, ricordo Nappi e il belga Goossens. Sono tutti attaccanti (ride, n.d.r.)”.
Gli avversari più forti contro cui hai giocato?
“In Serie A ho giocato contro Del Piero, Buffon, Trezeguet, Totti, Cassano, Ibrahimovic e tanti altri… Non è facile scegliere”.
Gli allenatori migliori che hai avuto?
“Acori, prima a Terni e poi a Rimini, è stato uno dei più importanti e quello con cui ho lavorato per più anni. Tutti sono bravi lasciano qualcosa nel bene e nel male. A Catania ho avuto El Cholo Simeone e Mihajlovic. Come carattere sono uguali, sanno trascinare e vogliono il massimo da tutti i loro giocatori”.
Idoli da ragazzino?
“Uno solo: El Diego Maradona. L’ho visto da bambino nel Mondiale del 1986. Calciatore unico”.
Soprannome?
“El Chico”.
Quando sei arrivato in Italia?
“Sono nato in Argentina e ho giocato nel Lanús, la mia squadra della mia città e del mio cuore, fino ai 12 anni. Mio padre era nato vicino a Isernia, poi andò in Argentina e nel 1989 si trasferì di nuovo in Italia per lavoro. Anche ora che è in pensione ogni tanto fa il carrozziere. Io e la mia famiglia lo abbiamo raggiunto l’anno dopo a Forano in provincia di Rieti. Allora in Argentina l’inflazione alle stelle”.
Nel Lanús hai giocato con qualche futuro talento?
“Sì, come no? C’era Ezequiel Carboni che ho ritrovato a Catania. Altri che ricordo erano Raúl El Pipa Estevez che ha giocato con San Lorenzo e Boca, e Ariel Ibagaza, uno che ha fatto una bella carriera in Spagna con Maiorca, Atletico Madrid e Villareal. Ricordo che da piccolo ho giocato contro El Piojo Claudio López”.
Un sogno in attesa?
“Vedere il Rimini in Serie A”.
Un grandissimo grazie a Adrian per la disponibilità e i ricordi. Y mucha suerte para todo!
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