Lorenzo Pilia, centrocampista in forza al Formigine in Eccellenza ed ex giocatore del Carpi in Serie D dal 2005 al 2009 con 119 presenze (100 in campionato e 19 in Coppa Italia di Serie D) e 14 gol (10 in D e 4 in Coppa Italia), ha parlato in esclusiva con la redazione de IlMostardino.it, trattando temi come la situazione del calcio dilettantistico dall’arrivo del Coronavirus e i suoi ricordi, passati e recenti, legati al club biancorosso.
Ciao Lorenzo! Come stai e come affronti questa quarantena che dura da quasi tre mesi?
“L’unico aspetto positivo di questa quarantena è che io e la mia famiglia stiamo bene di salute, ma per il resto non è un buon momento. Oltre a giocare a calcio lavoro come libero professionista: sono un formatore aziendale per un’azienda di Parma, mi occupo di team building e leadership e faccio lezioni. Solitamente sono in un’aula, ma da qualche mese faccio smart working dalla mia casa a Modena e per me è tutto nuovo. Bisogna sfruttare questo tempo per creare anche una nuova immagine lavorativa. Qualche giorno fa, in quanto partita IVA, ho ricevuti i famosi 600 euro. Non sono tanti, ma possono aiutare. Purtroppo non è un gran momento per tutto il paese. Speriamo di uscirne presto, ma intanto bisogna accettare questa sfida e cogliere il meglio che si può”.
Calcisticamente sei fermo con il Formigine dal 23 febbraio 2020, quando avete vinto per 1-0 contro il Fiorano. Come valuti il vostro percorso?
“Eravamo messi bene perché il nostro campionato non ripartirà più. Diciamo che la scorsa stagione fu travagliata e ci siamo salvati dopo i Play-out, quindi siamo partiti senza i favori dei pronostici. Quest’anno però ci siamo ritrovati sesti con 37 punti, stavamo vivendo un momento molto buono e si vedeva una certa coesione di squadra. Eravamo curiosi di vedere cosa potevamo nel girone di ritorno, ma dopo quella vittoria contro Fiorano ci siamo allenati per tutta l’ultima settimana di febbraio e poi ci fu lo stop definitivo. Guardando gli altri campionati, la Serie C potrebbe avere più difficoltà a ripartire rispetto alla Serie A o alla Serie B, ma per i dilettanti è pressoché impossibile osservare i protocolli per salvaguardare la salute perché non abbiamo strutture. Conta che io alleno pure dei ragazzini in una polisportiva di Modena ed è tutto fermo. Mi auguro che da settembre si possa ricominciare a giocare gradualmente anche nella nostra categoria e in tutti quegli sport che sono a base dilettantistica”.
Cosa pensi della tua stagione?
“Preferisco che giudichino gli altri, io sono molto critico. La stagione è stata positiva considerando come eravamo partiti. È vero poi che a 33 anni gli acciacchi si sentono di più ed è una sfida con me stesso per dimostrare che riesco ancora a giocare. Bisogna adeguarsi al corpo che cambia e giocare usando la testa come ho fatto per quasi tutta la mia carriera. Il giocatore deve essere pensante, accettare certe situazioni e conoscersi sempre, per esempio correndo meno ma nel modo giusto. Da giovani invece si vuole strafare, si corre troppo e ci si stanca velocemente. Essendo un calciatore soprattutto tecnico, questa mentalità mi ha permesso di fare tanti ruoli, da terzino a regista, o da trequartista a mezz’ala sinistra come negli ultimi anni a Formigine”.
Passiamo a una data: 20 ottobre 2019. Come è nato il contatto per partecipare al 110° compleanno del Carpi, festeggiato con una sfilata di calciatori storici nell’intervallo contro il Fano?
“Grazie a Sarnelli: lui sapeva dell’evento, il Carpi però non aveva il mio contatto e lui fece da intermediario per farmi presenziare alla cerimonia”.
Sei stato uno degli ultimi a entrare sul manto erboso del Cabassi. Che emozioni hai provato?
“Sono tornato indietro di una decina di anni. Vedere il Cabassi così rinnovato, soprattutto con la nuova Curva proprio dietro la porta, mi fece venire voglia mettere gli scarpini giocare (ride, n.d.r.). Purtroppo mi tornò in mente anche la mancata promozione in Serie C2 del 2007, ma sentire il pubblico e gli applausi mi fece capire che ho lasciato un piccolo ricordo. Carpi rappresenta l’inizio della mia carriera: ci arrivai a 18 anni, rimasi per quattro stagioni e ho ricordi nel complesso bellissimi”.
Hai visto o parlato con qualcuno che magari non conoscevi di persona?
“Mister Castori è emblematico perché con la promozione in Serie A ha fatto qualcosa di veramente importante e incredibile. È stato particolare e curioso trovarlo vicino e sarebbe stato bello poter parlare un po’ delle sue esperienze o di come ha costruito le sue squadre. Avrei voluto parlargli, ma data l’importanza dell’evento e la mancanza di confidenza non è stato possibile. È un allenatore che ha vinto campionati in tante categorie partendo dai dilettanti e credo che se vinci ovunque non sei magari soltanto fortunato, ma anche uno sa come lavorare e come far rendere al massimo il tuo gruppo. Per il resto è stato bellissimo vedere sfilare tanti ex calciatori legati al Carpi, la maggior parte di generazioni precedenti alla mia. Avevo saputo che ci sarebbero stati molti giocatori importanti ed essere stato tra loro è per me un motivo di grandissimo orgoglio. Sono rimasto sorpreso positivamente dall’iniziativa e tutti abbiamo avuto il giusto riconoscimento”.
Di quella festa è spuntato un tuo selfie con Sarnelli, compagno di squadra nei tuoi anni a Carpi e non solo.
“È stato bellissimo andare sotto la Curva con Sarnelli e farci una foto. Questa è stata la nostra undicesima stagione insieme tra Carpi, Rolo e Formigine. Nel corso degli anni si è creata un’ottima intesa in campo e fuori. Lui ora ha 38 anni e io 33, ma quando eravamo a Carpi mi prese un po’ sotto la sua ala e lo guardavo con ammirazione. Sappiamo dire la nostra in Eccellenza. Quando viene ad aiutarmi sulla sinistra quando passa mi sembra di rivivere gli anni di Carpi. Abbiamo automatismi consolidati, a volte ci basta guardarci per capire cosa dobbiamo fare. C’è come una simbiosi tra noi e ne sono felice perché non è facile mantenere amicizie nel calcio”.
Ti è capitato di tornare al Cabassi negli ultimi anni?
“Da calciatore no. E direi anche per fortuna perché dopo la fusione il Carpi smise di giocare in Serie D, dove l’avevo lasciato, e arrivò addirittura fino in Serie A”.
Cosa pensi di questo Carpi e del suo campionato in Serie C?
“Ammetto che non riesco a seguirlo troppo in tv perché sto ancora giocando, ma fino allo stop stava facendo un ottimo campionato. Sicuramente dopo una retrocessione non è semplice ricominciare: infatti la stagione non era partita con un profilo altissimo o con proclami da primi posti, solitamente l’ambiente in generale ha il morale sotto terra e il rinnovamento della rosa è quasi totale. Essere terzi a fine febbraio con un partita in meno significa che sono state fatte grandi cose. Spero che il Carpi in qualche modo riesca a tornare in Serie B perché la merita”.
Il Carpi in estate era stato messo in vendita, ma alla fine Bonacini e Caliumi sono rimasti per rimettersi in gioco.
“Se chi comanda è competente sa gestire tutto. La squadra è composta da un mix di giovani, molti dei quali di proprietà, che hanno voglia di mostrarsi e da qualche esperto che mentalmente trascina i giovani con la sua esperienza. Magari non da subito, ma alla lunga si possono generare aspettative che vanno oltre il valore reale della rosa. Vedremo nei prossimi giorni come andrà a finire. Se non si ripartirà sarà un bel casino. Ho letto di una quarta promozione da stabilire tramite sorteggio, un’idea che non piace a nessuno e che non ha senso. Serve trovare una soluzione intelligente per tutti. È vero che il calcio muove l’economia, ma muove anche il lato emotivo delle persone, siano essi atleti in campo o tifosi sugli spalti, e dà il piacere di staccare da qualsiasi cosa per almeno due ore”.
Come nei dilettanti, dalla Serie C in giù gli allenatori possono fare cinque cambi. Quanto possono fare la differenza quei due cambi in più?
“In una partita ci sono varie fasi e bisogna sapere attendere. Fare cinque cambi permette di dare minutaggio a quasi tutta la squadra ed è più facile avere giocatori pronti. Questo Carpi è stato costruito caratterialmente con le persone giuste perché tutti erano vogliosi di riscattarsi dopo una stagione complicata, da chi era in B a chi era reduce da anni in C o in D. Mister Riolfo sta proponendo un gran calcio con giocatori versatili, pronti per la categoria e adatti alle sue idee. Molte volte ha vinto dominando con risultati larghi o altre volte con risultati sudati. Quando non riesci ad esprimerti al massimo, le vittorie per 1-0 sono le più belle perché dimostrano che sei maturo e sai aspettare il momento giusto. Questa è una grande qualità di Riolfo”.
Di questo Carpi apprezzi qualche giocatore?
“Saric mi è piaciuto tanto nelle poche volte che ho seguito il Carpi: è un centrocampista che corre dappertutto e ha molta qualità. Dal vivo contro il Fano mi è piaciuto Biasci: entrò dalla panchina e diede una scossa segnando l’1-0 con una giocata personale. Anche lui ha qualità, in quel periodo non era nemmeno titolare e ha mostrato che chi entra può essere veramente utile se lo fa con la condizione giusta. C’è chi rende meglio negli ultimi 20 minuti invece che giocando dall’inizio. Se entri in campo con rabbia e cattiveria è più facile ottenere fiducia e spazio dal mister. Poco dopo Biasci è diventato titolare ed è al momento capocannoniere del Girone B”.
Ora torniamo ai tuoi anni da giocatore carpigiano. Come sei arrivato al Cabassi?
“Venivo dal vivaio del Modena, dove l’esperienza non fu esaltante. Lì ho conosciuto la dottoressa Teresa Montaguti che mi portò a Carpi nel 2004 per giocare nella Juniores. Nel 2005 sono stato aggregato alla prima squadra come succede a tanti ragazzi delle giovanili. Durante la preparazione estiva il mister Bob Notari, al quale sono molto legato, mi notò, mi diede fiducia e mi fece debuttare prima in Coppa Italia e poi in Serie D. Alla fine giocai da titolare oltre qualsiasi aspettativa e segnai i miei primi gol (5 in 33 presenze, n.d.r.). Quella stagione fu un exploit per me e per il club. Infatti abbiamo sfiorato la qualificazione ai Play-off, persa alla penultima giornata in casa contro il Rodengo Saiano con un gol di Bonomi da centrocampo al 91′ (2-1 il risultato, n.d.r.). Per quel Carpi fu comunque un risultato enorme in quanto era partito con un profilo molto basso e veniva da anni non brillantissimi. Inoltre da lì a poco ho iniziato l’università di giurisprudenza a Modena. Sono soddisfatto per aver finito i cinque anni integrando calcio e studio”.
Dopo una stagione 2005-2006 di apprendistato arriviamo alle due partecipazioni ai Play-off nel 2007 e nel 2008, entrambe finite male contro il Castellarano. C’era il potenziale per salire in Serie C2?
“Avremmo potuto farcela a salire. Il rammarico più grande della mia carriera è stato non aver raggiunto il professionismo in quei due anni. Avevamo una squadra veramente forte in una Serie D con avversari molto attrezzati. Purtroppo per due volte fu il Castellarano, prima in Finale (5-0, n.d.r.) e poi in Semifinale (1-0, n.d.r.), a interrompere il nostro sogno. Eravamo un Carpi giovanissimo ma pieno di talento: penso a Teocoli, Bastia, Gherardi, Roncarati e tanti altri. Quando sono arrivato avevo 18 anni e cercavo di imparare tanto dai ragazzi di 23-24 anni che vedevo come i ‘vecchi’ dello spogliatoio”.
La stagione 2008-2009, l’ultima per te in biancorosso, è quella in cui hai giocato meno: solo 17 presenze in campionato.
“La mia ultima stagione fu travagliata. Ricordo che dopo poche giornate cambiammo allenatore: Enrico Zanasi iniziò facendomi giocare, poi fu sostituito da Alberto Maresi e con lui, forse per mancanza di sintonia, ho avuto meno spazio. Fu la stagione in cui ho giocato di meno, ma non porto nessun rancore”.
Potevi restare dopo la fusione con la Dorando Pietri che cambiò la storia del Carpi?
“No, anche perché il Fiorenzula si fece avanti nei miei confronti. A parte qualche compagno come Carlo Bigoni, la fusione fu come una specie di fine ciclo per il Carpi dove ero cresciuto. Quelli sono momenti in cui uno sente, in parte a malincuore, che deve cambiare e fare altre esperienze come è giusto che sia. A Fiorenzuola andai con grande entusiasmo, ma sfortunatamente dopo due partite ho avuto un infortunio alla caviglia che non mi fece tornare in campo nemmeno a dicembre. A inizio 2010 decisi di ripartire in Promozione alla Correggese e vinsi il campionato insieme a due ex compagni di Carpi come Teocoli e Soprani. Nel dicembre 2010 ho ritrovato Sarnelli al Formigine che era ultimo in Eccellenza e ci salvammo senza passare dai Play-out. L’anno dopo vincemmo un altro campionato e il Formigine salì per la prima volta in Serie D. Poi ho giocato a Castelvetro e a Rolo prima di tornare al Formigine nel 2016 in Promozione. Sono contento del percorso che ho fatto e spero di poter giocare ancora per qualche anno”.
Quali sono i tuoi momenti più belli in biancorosso?
“Tutti mi ricordano per il gol nel 4-1 contro il Cervia dei ‘Campioni’ che andava in onda su Italia 1. Quel giorno fu uno dei più emozionanti e belli della mia carriera, ma ricordo pure l’esordio in Serie D a Santarcangelo (11 settembre 2005, sconfitta per 3-1, n.d.r.) e la partita seguente contro la Metolese che coincise con il mio debutto al Cabassi (18 settembre 2005, vittoria per 1-0, n.d.r.). I tifosi allora non erano in Curva ma nei Distinti e li sentivo molto vicini. Il gol più bello l’ho fatto sul campo del Mezzolara: lancio lungo di Bastia o di Favaro, presi la palla al volo di piatto sinistro e la misi all’incrocio (9 aprile 2006, vittoria per 2-0, n.d.r.)”.
Si può dire che il tuo gol contro il Cervia nel 4-1 del 12 febbraio 2006 allo Stadio dei pini è l’unico visto in diretta nazionale?
“Sì, credo che sia l’unico (ride, n.d.r.). Quel gol era tanta roba, una grande soddisfazioni per un dilettante che ovviamente non ha l’esposizione mediatica del professionista. Di quel Cervia circola qualche video su Youtube, ma quel 4-1 non si trova. C’è invece il nostro 5-0, sempre a Milano Marittima, dell’anno dopo dove anche lì segnai, ma il Cervia non era più in televisione. Tra l’altro lo abbiamo sempre battuto con risultati larghi”.
Dato che è ancora introvabile sul web, ci descrivi la rete di quel 4-1?
“Sarnelli mi prende ancora in giro dicendomi che fu autogol, ma non è vero. Ci fu un calcio d’angolo, una spizzata sul primo palo, la palla andò sul secondo palo e io segnai in spaccata anticipando un difensore”.
Quali furono i tuoi compagni più forti?
“Togliendo Sarnelli (ride, n.d.r.), Gherardi è stato il più forte e determinante. Arrivò a Carpi insieme a me e lo vidi crescere e migliorare tecnicamente, di testa e di piede, nell’arco di due stagioni (dal 2005 al 2007, n.d.r.). Ha fatto una carriera molto importante in queste categorie. Era il tipico ariete forte di testa e fisicamente. Nel 2007 andò in C1 alla Ternana e poi nel 2010 aiutò il Carpi a salire in C2. Nel 2006-2007 Ghera e Roncarati fecero 21 gol a testa, un record che penso sia ancora imbattuto. In mediana ricordo un argentino come Andrés Grandre, giocatore di grande tecnica, e Maurizio Gaetano Priore, un napoletano in stile Gattuso che sapeva mettere la gamba e vinse tanti campionati al sud. Mi piace ricordare che sono cresciuto in un Carpi che, oltre a essere forte, era un gruppo sano”.
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