Il 28 aprile 2015 è un giorno doppiamente speciale e indimenticabile per Filippo Porcari: il capitano del Carpi festeggiò in un colpo solo la matematica promozione in Serie A grazie allo 0-0 contro il Bari e il suo 31° compleanno. Nel quinto anniversario di quella data storica Pippo, attualmente in forza al Crema in Serie D, ha compiuto 36 anni e ha parlato in esclusiva con la redazione de IlMostardino.it del suo ciclo carpigiano e in generale dei momenti migliori della sua lunga e prestigiosa carriera.
Ciao Pippo! Come stai?
“Sono con la mia famiglia. Siamo chiusi in casa e stiamo tutti bene per fortuna”.
Nella scorsa estate sei sceso dalla Serie C alla Serie D. Perché hai deciso di andare al Crema?
“Volevo stare vicino a casa e alla mia famiglia, quindi mi sembrava la soluzione giusta. Abito a Salsomaggiore Terme e per arrivare a Crema ci metto circa 50 minuti in macchina. Mi piace andare dove si vuole vincere e il Crema in estate puntava a vincere il campionato, poi le cose sono andate diversamente perché ci siamo ritrovati in zona Play-out. Difficilmente riprenderemo a giocare, però in questo momento siamo salvi. A questo punto della mia carriera non mi importava la categoria”.
Pochi giorni fa, il 28 aprile, hai festeggiato doppio: compleanno e quinto anniversario del Carpi in Serie A.
“Sì sì, quel giorno fu perfetto. Ho solo bei ricordi”.
Nei festeggiamenti in sala stampa avevi detto che ti volevi tatuare la data. Alla fine l’hai fatto?
“No, non c’era bisogno perché quella data ce l’ho nel cuore. Poi mia moglie non vuole che mi faccia più tatuaggi, quindi lasciamo stare (ride, n.d.r.)”.
Il Carpi degli ImmortAli affonda le sue radici nella stagione di Serie B 2013-2014. Questo fu il segreto della cavalcata verso la Serie A?
“Nel mio primo anno a Carpi si crearono le basi per la stagione successiva che fu fantastica. Sulla carta eravamo meno attrezzati, però avevamo una forza di squadra che era il doppio di qualsiasi altra squadra come per esempio il Bologna. Ci conoscevamo a memoria, sembrava tutto troppo facile, ci divertivamo quando andavamo in campo, ci allenavamo sempre a mille, chi non giocava stava sempre zitto, lavorava per il gruppo e quando entrava si faceva trovare pronto. Tutti questi fattori hanno creato una mentalità vincente”.
Come fu la trattativa per arrivare a Carpi dallo Spezia?
“Allo Spezia mi dissero che ero nella lista dei partenti. Quando non sono ben accetto in un posto, preferisco andare dove posso trovarmi a mio agio, sentire che mi vogliono bene e hanno fiducia in me. Solo così riesco a dare tutto me stesso e così andò al Carpi, che allora era una neopromossa ma avevo sensazioni positive. Giuntoli è uno dei direttori sportivi più bravi in Italia e non per nulla da qualche anno è al Napoli in Serie A. Dopo la sua chiamata sono venuto di corsa. Ho portato esperienza insieme a Pesoli e Sgrigna, ma c’era un insieme di giocatori che vivevano lo spogliatoio bene, la settimana bene e la partita benissimo. Era tutto perfetto e non ho mai avuto problemi con nessuno. Molti miei compagni ora giocano stabilmente tra Serie A e Serie B. Il gruppo fu la vera forza della promozione”.
Nel secondo anno sei diventato il nuovo capitano. Quanto è gratificante vincere con la fascia sul braccio?
“Vincere il campionato da capitano fu una delle soddisfazioni più grosse che ho avuto, oltre alla promozione in Serie A con il Novara”.
Dopo il 3-0 contro il Brescia vi mancava un punto per ottenere la promozione matematica. Come hai vissuto l’attesa di quel punticino che valeva la storia?
“Noi volevamo festeggiare già nel turno seguente a Frosinone, ma abbiamo perso e c’è stata un po’ di delusione perché volevamo chiudere la pratica subito. È normale che quando arriva il giorno della partita decisiva non riesci a dormire, pensi a come può finire, a cosa hai preparato durante la settimana. Una volta in campo vedi solo il prato verde e cerchi di portare a casa la vittoria. A un certo punto aspettavamo solo la fine perché sentivamo di avere la promozione in mano”.
Quando eravate convinti di salire?
“Le vittorie contro Vicenza e Bologna furono importanti, ma direi che già dal girone d’andata sentivamo di poter andare in A. Allora al Cabassi facevamo 3-4 gol a tutti, poi nel ritorno abbiamo preso solo 10 gol in 21 partite che sono pochissimi. Castori ci martellava perché voleva avere la migliore difesa del campionato, dunque fino alla fine cercavamo di tenere botta anche se avevamo già ottenuto l’obiettivo. Nessuno ci ha regalato nulla, abbiamo combattuto e in Serie B non tutti vincono il campionato con un mese di anticipo come abbiamo fatto noi”.
Come fu giocare il derby contro il Modena quattro giorni dopo la festa in Piazza Martiri? L’obiettivo l’avevate già raggiunto, ma i derby sono sempre particolari e il Modena in quel momento era messo malissimo.
“Il derby vinto contro il Modena quattro giorni dopo la festa per la promozione ti dimostra che eravamo una squadra vera e non degli strafottenti. Fu una partita impressionante e ci diede la vittoria matematica del campionato. Noi ci siamo allenati al massimo fino alla fine, senza mollare mai un centimetro. Quella era la nostra mentalità. C’era ancora fame anche dopo la promozione, sapevamo che il derby era sentito e non volevamo dare delusioni ai tifosi e a noi stessi. Non ci accontentavamo mai. L’unica cosa che mi mancò quell’anno fu il gol e ricordo che contro il Bari l’ho sfiorato un paio di volte da fuori area”.
Nel tuo terzo anno a Carpi purtroppo non sei riuscito a goderti in pieno quella Serie A guadagnata sul campo.
“Questo forse è l’unico rimpianto che ho. Potevo restare se avessi tenuto duro, ma andò come quando ho lasciato lo Spezia… Purtroppo dopo l’addio di Giuntoli arrivò Sogliano che voleva cambiare la squadra portando i suoi giocatori. Ho fatto il debutto da capitano a Genova contro la Sampdoria, avevo un po’ la speranza di rimanere ma era fatta per andare via. Fu come una partita tributo. Mi dispiace ancora non aver potuto giocarmi la Serie A con il Carpi, anche se dopo sono tornato ma le condizioni erano diverse. Con Sogliano non c’era più ‘quel’ Carpi: con me andò via pure Poli e più avanti fu persino esonerato Castori”.
Come hai vissuto la cessione al Bari?
“A Bari ho sempre giocato, ma non ci sono andato con la testa giusta. Non stavo bene con me stesso e ho avuto alti e bassi”.
Nel mercato estivo, senza Sogliano e con il ritorno di Castori, sei tornato insieme e a Poli. Che aspettative avevi?
“Accettai la possibilità di tornare in prestito dal Bari perché volevo avvicinarmi a casa. Inoltre per me non era un problema non essere di nuovo titolare come negli anni passati”.
Nella sconfitta a Torino per 2-0 contro la Juventus avevi sfiorato l’1-1 dal limite dell’area. La palla sembrava entrata.
“Mi ricordo, anch’io l’avevo vista dentro. Mi mancava solo il gol per mettere le ciliegina sulla torta, ma la salvezza sarebbe stata il top”.
Dopo la sconfitta contro la Lazio al Braglia per 3-1 siete andati a Udine con il peso di dover vincere e sperare che il Palermo non facesse altrettanto contro il Verona.
“L’unica pecca dei miei anni a Carpi è stata non aver centrato la salvezza dopo l’impresa della stagione precedente. Nell’ultimo turno dovevamo vincere a Udine e sperare in un risultato positivo del Verona a Palermo. Quando sei costretto a vincere, ma le cose non dipendono solo dalle tue gambe, tutto diventa più difficile. Se ci ripenso ancora mi dispiace veramente tanto. Se il Carpi si salvava magari poteva iniziare un’era calcistica in Serie A”.
Cosa vi è mancato per salvarvi, nonostante un girone di ritorno molto positivo?
“Secondo me una squadra si crea metà della quota salvezza nel girone d’andata. Noi siamo tornati in gioco nel girone di ritorno, ma purtroppo non siamo riusciti ad avere continuità nei risultati, tipo fare 4-5 partite senza perdere. Era dura salvarsi, il livello ovviamente era alto e forse ha pagato l’assenza di altri giocatori di esperienza”.
Se ci fosse stata l’occasione, saresti rimasto a Carpi anche nella stagione seguente?
“Se fosse stato per me sarei rimasto, ma ormai era finita la mia parte. Ero un tesserato del Bari e non c’erano più le condizioni per rimanere”.
Una dei tanti punti di forza del Carpi degli ImmortAli era il trio di centrocampo composto da te, Lollo e Bianco. Come è stato giocare con loro?
“Con Lollo ho una vera amicizia da quando eravamo a La Spezia. Lui è un ragazzo splendido e a Carpi è cresciuto tantissimo. Si allenava sempre al massimo, giocava solo per la squadra, faceva sempre bene anche quando Castori gli cambiava il ruolo e non gliene fregava nulla di sé stesso. Non si può parlare male di lui. Bianco entrò in rosa nel gennaio del 2014 e fu un innesto in più per l’anno dopo. A centrocampo eravamo una certezza noi tre, giocavamo a memoria e sapevamo cosa dovevamo fare. Nel 4-4-1-1 ero in coppia con Bianco in mezzo e Lollo giocava più avanzato dietro all’unica punta Mbakogu, oppure quando facevamo il 4-3-3 io stavo davanti alla difesa e loro facevano le mezze ali. Era un meccanismo perfetto che in poco tempo andava in automatico”.
Stai seguendo il Carpi in Serie C?
“Assolutamente sì. Lo sto seguendo e stanno ricostruendo qualcosa di importante. Si vede dalla classifica che hanno fatto scelte giuste. Qualche settimana fa ho sentito dei ragazzi che l’anno scorso giocavano con me nel Piacenza, che prima dello stop era stato massacrato al Cabassi, e mi hanno detto che il Carpi è una squadra bella, forte e rognosa. Secondo me si sta ricreando la mentalità che c’era quando abbiamo vinto la Serie B”.
Della rosa attuale conosci qualcuno? L’unico ImmortAle in rosa è Sarzi Puttini.
“Saric è veramente un gran bel giocatore, mi piace un sacco, ha qualità impressionanti e se tiene la testa giusta può arrivare in alto. Anche Sarzi Puttini è forte: si allenò con noi per tutto l’anno, giocò un po’ nel finale di stagione e vinse la Serie B. Altri giocatori esperti come Ligi e Jelenic li ho solo affrontati, ma non li conosco di persona”.
Dopo aver lasciato il Carpi nel 2016 sei tornato in Serie C, dove mancavi dal 2010 con il Novara, e lì hai giocato con Cremonese, Triestina e Piacenza. Come valuti queste esperienze?
“A Cremona mi voleva a tutti i costi Tesser, che già mi aveva allenato al Novara. Anche lì abbiamo vinto il campionato rimontando 12 punti all’Alessandria che era stata al comando per circa 25 partite. Alla quartultima giornata feci il gol del sorpasso in classifica in una vittoria a Prato per 1-0, poi nell’ultimo turno in casa vincemmo al cardipalma per 3-2 contro il Racing Roma sotto la pioggia. Mi sono trovato davvero benissimo. Trieste fu una scelta sentimentale perché è la città natale di mia moglie e la Triestina ha una grande piazza che aveva voglia di rinascere. Mi sono trovato bene, ma dopo un anno volevo riavvicinarmi a casa e sono andato al Piacenza. L’anno scorso fu una bella mazzata: abbiamo perso il campionato all’ultima giornata dopo aver battuto l’Entella nello scontro diretto e poi nelle Finali Play-off ci sconfisse il Trapani. Non mi era mai capitato di perdere un torneo in quel modo e ancora mi mangio le mani”.
Hai ottenuto cinque promozioni tra Avellino, Novara, Carpi e Cremonese. A quale sei legato di più?
“Alle due dalla Serie B alla Serie A con Carpi e Novara. È vero che a Novara ho vinto un campionato di Serie C (2009-2010, n.d.r.), però vincere la B è più difficile”.
Qual è stata la più combattuta?
“A Novara siamo saliti in Serie A nel 2011 vincendo i Play-off (battuti Reggina in Semifinale e Padova in Finale, n.d.r.). Dopo 42 partite di regular season dovevamo fare altre quattro partite e a quel punto sei veramente tirato con le energie. Devi essere ben preparato per arrivare fino in fondo perché si gioca ogni tre giorni, la tensione è alta e bisogna avere tanta lucidità mentale. Tra l’altro mi dovevo sposare e fu un periodo devastante (ride, n.d.r.). Quell’anno ho perso troppe energie fisiche e di testa, ma la soddisfazione della promozione fa passare tutto”.
Quali allenatori hanno inciso di più nella tua carriera?
“Castori è un gran motivatore e un grande allenatore, ma Tesser l’ho avuto per quasi quattro anni e mi ha creato come giocatore”.
Il 17 maggio 2003 hai debuttato in Serie A in un derby Parma-Piacenza 3-2 alla penultima giornata. Che ricordi hai di quel pomeriggio?
“Io mi ero allenato tutto l’anno con la Prima Squadra del Parma e sognavo dall’inizio della stagione di debuttare in Serie A. In quella partita contro il Piacenza ci stavamo giocando la qualificazione in Coppa UEFA e si era messa male perché nel primo tempo perdevamo 2-0. Nell’intervallo Prandelli ha avuto le palle di cambiare due giocatori come Lamouchi e Nakata e inserire due ragazzi della Primavera come me e Rosina. Alla fine abbiamo vinto 3-2 in rimonta e non mi poteva capitare un esordio migliore. Da allora porto il numero 17 perché ho debuttato un 17 maggio”.
I gol li fecero dei giovani talenti come Gilardino, Adriano e Mutu all’89’. Non tre giocatori a caso.
“Infatti, quel Parma era fortissimo. Per me era un onore allenarmi ogni giorno con giocatori fenomenali come Taffarel, Benarrivo, Junior e Nakata, più altri ragazzi di prospettiva come Bonera e Frey. Nella Primavera ho anche giocato con Giuseppe Rossi e Lupoli, ma in quel momento Rosina era il talento principale”.
Da ragazzo chi era il tuo idolo?
“Da tifoso della Lazio il mio idolo è sempre stato Almeyda. Mi piaceva il suo modo di giocare. Mio figlio si chiama Matias in suo onore (ride, n.d.r.)”.
Ci racconti un po’ della tua fede laziale?
“Sono un tifoso sfegatato della Lazio sin da piccolo. A chi me lo chiede non so nemmeno spiegare il perché. È difficile trovare un laziale a Parma, a meno che sia originario di Roma. Nella mia famiglia nessuno tifava Lazio, ma mio figlio già lo sto orientando (ride, n.d.r.): il suo giocatore preferito è Luis Alberto. Sono partito da zero, nessuno mi ha trasmesso la lazialità. Sarà che mi sono innamorato dei colori e della squadra. Diciamo che sono diverso dal classico. Quest’anno, per come stava andando, si poteva vincere lo Scudetto perché la squadra gioca molto bene ed è migliorata in tutto. Milinkovic-Savic è troppo forte, per me è il mio migliore giocatore della Lazio: tatticamente si sta sacrificando di più rispetto agli anni scorsi, ma ha tantissima qualità e una fisicità devastante. Quando gli altri saltano per prendere la palla con la testa, lui la prende di petto. Poi a centrocampo, oltre a Sergej e a Luis Alberto, c’è anche Lucas Leiva… Mamma mia! Senza di lui la squadra è morta perché corre per tutti. Lui è diventato fondamentale da subito. Biglia non era male, ma Leiva è un’altra cosa. Non a caso ha giocato dieci anni al Liverpool”.
Cosa pensi sulle dichiarazioni di Lotito riguardanti il Carpi? Ai tempi si alzò un polverone.
“Lotito però in quel momento parlava dei diritti televisivi. Assolutamente non credo che volesse impedirci di andare in Serie A. Credo che sia uno che sa fare il suo lavoro nella Lazio insieme a Tare, ma non condivido alcune cose o modi di fare”.
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